Fesival della canzone o della politica italiana?

Si conclude anche quest’anno il festival della canzone italiana, meglio conosciuto
come Festival di Sanremo, seguito in tutta Europa, ed anche questa volta non manca
la solita polemica sulla classifica finale dei cantanti in gara ed in particolare sul
vincitore.
Dico “solita” perché non è una novità che alla fine del festival sorgano
contrasti, dispute e discussioni, da vari anni ormai amplificate dall’effetto a catena
provocato dal web e dai social media, e che vengano fuori dai concorrenti stessi
commenti come “è tutto combinato” (Ornella Vanoni) o “è tutta una pastetta” (Elio
e le storie tese). Quest’anno però si è aggiunto un elemento che ha reso il tutto più
pesante, trasformando quello che è sempre stato un normale confronto tra persone
che avevano votato musicisti diversi, limitato alle opinioni musicali e comunque in
un certo senso circoscritto nell’ambito di “pochi” individui interessati, in una
polemica più politica che musicale, estesa a livello nazionale e che ha visto schierarsi
sul web tutti i personaggi di rilievo, politici e non. Questo elemento è Salvini. O
meglio quello che io chiamo il “gruppo Salvini”, che è formato da tutte quelle
persone (compreso lui) che stanno dietro alle sue dichiarazioni e ai suoi continui
tweet. Infatti, dopo l’annuncio che a vincere la 69° edizione del Festival di Sanremo
era stato Mahmood, con la canzone “soldi”, Matteo Salvini non ha saputo
trattenersi dal pubblicare un tweet istantaneo che esprimeva il proprio dissenso.
Scrive: “#Mahmood”, seguito da quindici puntini di sospensione, e poi “mah”,
seguito da altrettanti puntini. Tutti questi puntini preparano la bomba: “La canzone
italiana più bella?!?”. Perché non si limita a scrivere “la canzone più bella?” o “il
cantante migliore?”, ma deve specificare “La canzone italiana più bella?”, come a
dire “il cantante italiano migliore?”? La risposta è semplice: Salvini non sta
esprimendo un commento musicale o il proprio parere sul festival, ma sta inserendo
nella delusione di tutti gli scontenti dell’esito della competizione la convinzione che
la canzone di Mahmood non solo non è la migliore, ma soprattutto non è nemmeno
italiana. Sottintendendo ovviamente che non lo è neanche l’autore. E non lo fa con
un tweet innocuo e spontaneo dell’una di notte, ma con un tweet ben studiato e
ragionato che tutto è tranne che impulsivo e sincero. Il messaggio, che è fatto
passare come un semplice commento musicale, contiene molto di più, ha uno scopo
ben preciso, che è quello di aizzare il malcontento popolare contro qualcosa e
qualcuno che non è italiano. E così ancora una volta si lega l’immagine
dell’“immigrato” ad una delusione, ad un contrasto, ad un’ingiustizia. Perché è

proprio un’ingiustizia bella e buona! Il buon Salvini infatti non si limita a dire che la
canzone di Mahmood non è la migliore e non è italiana, ma afferma poi: “Io avrei
scelto #Ultimo”. Ed infatti è proprio qui l’“ingiustizia”. Per capirla bisogna però
aprire un attimo una piccola digressione sul sistema di voto del festival. Il vincitore
viene infatti deciso a seguito di varie votazioni. Il giudizio degli ascoltatori, che
esprimono la propria preferenza da casa, vale il 50% del voto complessivo. Vi sono
poi il giudizio della Sala Stampa, che vale il 30% ed il giudizio della Giuria d’onore,
che vale il 20%. Tornando all’ingiustizia di cui si era parlato, essa consiste nel fatto
che il giudizio dei telespettatori voleva Ultimo vincitore, con il 46,5%, e Mahmood
terzo (ed ultimo) con il 14,1% dei voti. Tuttavia, a seguito della votazione della Sala
Stampa e della Giuria d’onore, che hanno entrambe scelto come vincitore la
canzone “soldi” di Mahmood, il giudizio popolare si è visto capovolto, con Mahmood
in testa e Ultimo a seguire. Se la giuria d’onore e la sala stampa abbiano voluto
lanciare un messaggio di accoglienza votando per la canzone di Mahmood non si sa,
fatto sta che questo ha vinto in piena regola, conquistando una percentuale
complessiva maggiore di quella dello sfidante romano. Eppure l’ingiustizia è
evidente, ed è proprio Salvini, capitano della patria, a prendere in mano le redini del
malcontento dei votanti. E così il povero musicista di Milano non ha avuto neanche il
tempo di ritirare il premio che ha dovuto specificare: “Sono italiano al 100%”. Ma
perché lo ha dovuto specificare lui e non Ultimo, non i Volo, non Loredana Bertè?
Proprio per il fatto che Salvini, con il suo messaggio innocente, sottolineava che non
lo è affatto. Il perché? Ha il padre egiziano, è quindi “immigrato di seconda
generazione”. Salvini non lo dice però apertamente, lo sussurra nell’orecchio di tutti,
in silenzio, e poi chiarisce: “È un ragazzo di vent'anni, comincia adesso, mi sono
informato sul suo percorso artistico e gli ho voluto dire direttamente che si deve
godere la vittoria e che sono felice per lui”. Ma intanto continua a specificare che chi
ha votato Mahmood ha sbagliato di grosso e attacca la giuria: “Una giuria senza
senso, mancava solo mio cugino e sarebbe stata completa. Sanremo deciso da un
salotto radical chic”. A parte spiegarci cosa sia un salotto “radical chic”, Matteo
Salvini ci dovrebbe spiegare perché mai la giuria sia “senza senso”; ma non c’è
bisogno che lo dica apertamente, perché ancora una volta il messaggio è passato:
Mahmood non doveva vincere, in quanto non italiano. Non solo, passa anche al
contrattacco: "È un ragazzo italiano che suo malgrado è stato eletto a simbolo
dell'integrazione, ma lui non si deve integrare, è nato a Milano. Lo hanno messo al
centro di una storia che non gli appartiene". Ci tengo a sottolineare la frase: lo
hanno messo al centro di una storia che non gli appartiene. In particolare questo

hanno. Ma chi rappresenta questo hanno? Spiega: “Che questo ragazzo sia stato
usato dalla sinistra, ci sta.” Ma allora soggetto di questo hanno, è “la sinistra”! Ma
allora ci siamo sbagliati: non è stato lui a creare la polemica, non è stato lui ad
appiccicare la targhetta di “immigrato” alla giacca di Mahmood, non è stato lui a
collegare ancora una volta impropriamente i due concetti “immigrato” e
“ingiustizia”, “immigrato” e “delusione”, “figlio di immigrato” e “non italiano”.
Perché a me sembrava che se proprio ci si dovesse chiedere chi avesse usato la
vittoria di Mahmood per altri scopi, la risposta sarebbe stata evidente e immediata.
E invece Salvini non si limita a generare la polemica, infilando la pulce nelle orecchie
degli italiani, ma ne scarica sfacciatamente le conseguenze su altri. E alla fine non
perde mai. Qualcuno potrebbe obiettare: “ma molti non hanno condiviso il suo
giudizio”. Però intanto se ne è parlato. Però intanto tra i molti si è diffuso il pensiero
che sotto sotto Mahmood non è italiano, che un figlio di padre non italiano non è
italiano. Però intanto Salvini ha usato un episodio che nulla c’entra con la politica o
con l‘immigrazione per passare lo stesso messaggio. Mi viene a proposito in mente il
commento del ministro dell’interno su Montalbano. Eh sì, non risparmia neanche
Camilleri. Dice: “Andremo in onda dopo Montalbano che salva dei clandestini,
magari cantando un pezzo di Mahmood…". E infatti come si è permesso Camilleri di
entrare nel vivo della questione immigrazione in Italia, senza esprimere lo stesso
parere del proprio leader? Purtroppo la censura è superata, ma a Matteo non serve.
Bastano poche parole, per lanciare un ondata di sdegno e disprezzo sul gesto di
“salvare dei clandestini”. Perché il vero obiettivo non è Montalbano, di cui a Salvini
non frega nulla, ma è proprio l’atto di salvare dei clandestini (attenzione, non usa il
termine “migranti”) ad essere spregevole, l’atto di salvare delle vite umane che lo
ripugna. E come se non bastasse, ci aggiunge: “magari cantando un pezzo di
Mahmood…”. Ma perché? Cosa c’entra Mahmood con Montalbano? Ma perché alla
fine, chi legge il tweet, finisce col collegare, volendo o nolendo, Mahmood ad un
clandestino e l’atto di salvare i migranti a qualcosa di spregevole. Perché ormai è
così che si fa, e la cosa non è poco preoccupante. Salvini fa tutto, Salvini risolve
tutto, Salvini parla di tutto e sentenzia su tutto. Menomale che c’è lui a risolvere la
crisi dei pastori sardi, menomale che c’è lui a regolare i rapporti con l’Europa,
menomale che c’è lui che farà costruire la TAV, menomale che c’è lui che ci salva dai
clandestini (ma nessuno guarda i dati, che parlano chiaro) menomale che c’è lui con
la felpa dei carabinieri, della polizia, della guardia di finanza, della protezione civile,
dei vigili del fuoco, della regione Sicilia, della regione Sardegna, dell’Emilia Romagna,
menomale che c’è lui che con l’elmetto e la ruspa abbatte il campo rom. Mi ricorda

quasi la foto di Mussolini con il piccone che scava nei cantieri di via dei Fori
Imperiali. Non voglio assolutamente fare paragoni affrettati, ma il metodo è lo
stesso. E funziona.

LUCA SILVERI

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