Questione di parità

Il femminismo è visto dai più in maniera negativa o come qualcosa appartenente al passato, non più attuale, sia da uomini che da donne. Non capendo il motivo di quest’ostilità nei confronti del movimento, ho deciso di approfondire la questione e queste sono le mie conclusioni: da una parte non si sa esattamente cosa sia il femminismo, dall’altra si pensa che le femministe lottino inutilmente per qualcosa che hanno già raggiunto; quest’odio/paura esiste da sempre nell’immaginario comune, fino all’estremismo di Pat Robertson, politico cristiano e tele-evangelista, che negli anni ’90 lo definì come un “movimento politico socialista, anti-famiglia, che incoraggia le donne a lasciare il marito, ad uccidere i figli, a praticare la stregoneria, a distruggere il capitalismo e a diventare lesbiche”.Molte persone credono che il femminismo sia l’opposto del maschilismo, un tentativo delle donne di capovolgere finalmente la gerarchia sociale, dopo secoli di angherie, e salire al potere. Al contrario di ciò che si pensa, il movimento promuove “la parità politica, sociale ed economica dei sessi”, mentre il maschilismo è semplicemente una forma di sessismo, che vede l’uomo superiore alla donna. Perché allora non dargli il nome di “paritarismo” o qualcosa del genere? A mio parere, per non dimenticare gli avvenimenti del passato, una storia in cui le donne sono sempre state maggiormente svantaggiate (ciò non vuol dire che anche gli uomini non abbiamo subito e non subiscano discriminazioni di genere) e le radici del movimento, nato da donne.
Nel tempo gli obiettivi sono cambiati: nella prima ondata, quella delle suffragette, si puntava al suffragio universale; nella seconda, nel dopoguerra, alla possibilità di decidere del proprio corpo, al diritto all’aborto; la terza, negli anni ’90, mirava all’indipendenza femminile, all’uscita dai ruoli di genere. Adesso ci troviamo nella quarta ondata, che sceglie di includere anche gli uomini, ponendo fine al separatismo degli anni ottanta. Il supporto di questi ultimi è molto importante per un semplice motivo: battendosi per dei diritti che non li riguardano direttamente, risultano più credibili, perché appunto non lo stanno facendo per il proprio interesse.
La quarta ondata è anche importante perché con questa si inizia a parlare di femminismo intersezionale: non riguarda più solo le donne bianche di classe media, ma anche le minoranze etniche, religiose e così via; chiede di occuparsi, includere e battersi anche per le discriminazioni che non hanno effetto sulle femministe occidentali, privilegiate rispetto alle altre donne del mondo.
Ma – chiedono gli scettici – quali sarebbero questi fantomatici problemi contro cui ci dovremmo ancora battere? Il problema di base, da cui derivano poi gli altri, è la natura profonda della nostra società: il patriarcato. Questa cultura è ancora viva e impedisce di raggiungere un’effettiva e totale parità. Il patriarcato è la struttura sociale che si basa sul binarismo di genere: la netta divisione fra le caratteristiche associate alle donne e agli uomini (per stereotipo le qualità maschili sono: testardaggine, competizione, l’essere prevaricanti e maneschi, l’abilità nelle materie scientifiche; le qualità femminili: grazia, civetteria, gentilezza, abilità nelle materie umanistiche, l’amore per bambole e trucchi) giustificano l’inferiorità fisica e intellettuale delle donne. E da qui le discriminazioni delle donne sul lavoro (se riescono ad accedervi), il gender pay gap (ossia la differenza salariale tra gli uomini e le donne), il glass ceiling (più si sale nelle gerarchie e meno donne si trovano), lo slut shaming, il catcalling, le molestie fisiche e verbali, gli stupri, i femminicidi. Ma ancora crediamo di trovarci nella miglior società possibile, cerchiamo di chiudere gli occhi davanti a tutto ciò.

IRENE ZEBI

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