BaZinga(retti)!

Il 3 marzo scorso 1.582.083 persone si sono recate a votare per eleggere il segretario del Partito Democratico. Si è votato in oltre settemila seggi, in Italia ed in tutti i continenti – tranne l’Antartide; i candidati erano Roberto Giachetti, Maurizio Martina e Nicola Zingaretti, “mozioni” per tre PD diversi:

  • Mozione Giachetti/Ascani (rappresentativa dell’area più renziana/liberale)
  • Mozione Martina/Richetti (trasversale/unitaria e – diciamolo – di establishment)
  • Mozione Zingaretti (rappresentativa dell’area più anti-renziana/socialista).

Ma cerchiamo di spiegare bene questo complicatissimo processo delle primarie, esso si divide in due fasi:

La prima fase detta “congressuale”, durante la quale si presenta un numero non definito di candidati: quest’anno – ad esempio – erano Francesco Boccia, Dario Corallo, Roberto Giachetti, Maurizio Martina, Maria Saladino e Nicola Zingaretti. In questa fase, gli iscritti sono chiamati a votare nei circoli e nelle sezioni per eleggere i primi tre candidati che poi passeranno alla seconda fase, la quale prevede un voto in più date in Italia e nelle sezioni all’estero. La prima fase si conclude con la riunione della Convenzione Nazionale, una specie di assemblea composta da x delegati per ogni provincia (numero che varia in base alla popolazione) e dai delegati delle sezioni estere eletti durante le votazioni; la Convenzione prende atto dei risultati e proclama ufficialmente i tre candidati alla segreteria che passeranno alla seconda fase. Si entra dunque nella seconda manche, in cui – come è successo il 3 marzo – tutti i cittadini italiani sono chiamati a votare per eleggere il segretario nazionale e i delegati di ogni provincia per l’Assemblea Nazionale (in pratica decide il “voto del pubblico”). Per essere eletto, un candidato deve prendere il 50+1% dei voti totali, altrimenti si dovrebbe ricorrere al voto assembleare e dunque tentare accordi tra due candidati o tra liste di delegati all’Assemblea. Questa fase, come tutto il percorso delle primarie, si è conclusa il 17 marzo con l’Assemblea Nazionale, che ha proclamato segretario del partito Nicola Zingaretti (sì, esatto, il fratello di Montalbano), ha eletto inoltre presidente Paolo Gentiloni e tesoriere Luigi Zanda.

Il problema di tutto questo è il fatto che il PD è un partito caratterizzato da un forte correntismo: è diviso, troppo diviso.

Ci sono i liberali, i socialisti, i renziani, quelli a cui piace Martina (che non si è capito bene dove si collocano) e la corrente degli “anti-correntisti” – c’è persino chi è così tanto anti-correntista da essere contrario alle primarie. Ma ora veniamo a Zinga: l’attuale segretario aprì la campagna per la segreteria all’insegna dell’unità. Da segretario il suo intento è quello di ricostruire il Partito Democratico e tutta la sinistra, tenendo conto di alcuni punti principali: priorità e attenzione alle persone, quindi maggiore centralità ed importanza alle politiche di redistribuzione del reddito, proprie di un partito che si dichiara di centro-sinistra; apertura ad alleanze con gli altri partiti di sinistra: come candidato alle regionali Zingaretti si alleò con Liberi e Uguali e ora cerca l’accordo per le europee con Articolo 1 di Roberto Speranza; ripresa dei valori dell’ambientalismo e promozione di un’economia green e circolare; importanza alle politiche per garantire i fondamentali diritti civili.

Possiamo quindi dire che Nick stia finalmente dando voce alla corrente socialista che nel partito è sempre stata una minoranza: tramite le sue idee, egli sembra stia mirando a ricostruire una sinistra compatta ed unita nel combattere le forze sovraniste che attualmente hanno preso il sopravvento. Il segretario però – dopo anni di lavoro come amministratore – potrebbe avere dei problemi ad essere segretario di un partito nazionale: ora, pertanto, non deve cercare di schierarsi il meno possibile per piacere a più persone, come spesso si fa da amministratore locale. Essere segretario del PD vuol dire dettare la linea politica, fare opposizione, schierarsi subito su determinate vicende e – anzi – scegliere un programma concreto da seguire fatto di progetti, idee, ma soprattutto mezzi, perché queste idee possano diventare realtà. Per ora, il programma del presidente è stato molto vago: gli elettori di sinistra aspettano delle proposte concrete per finalmente dar luce all’alternativa di cui questo Paese ha bisogno per andare avanti.

JACOPO AUGENTI

(immagine di Alessandro Iacovitti)

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