L’Oracolo Quantistico

C’era una volta Cadmo. Cadmo era nei guai, perché sua sorella, Europa, era stata rapita non da uno qualunque, ma da Zeus in persona. Il padre Agenore allora gli ordinò di cercarla e di non farsi rivedere prima di averla trovata. Disperato, si recò a Delfi per chiedere consiglio al sacro Oracolo di Apollo.Cadmo rimase spiazzato davanti al responso divino: “Lascia perdere la ricerca di tua sorella” gli suggerì la pizia “tu sarai il fondatore di una nuova città. Segui la vacca che ha su tutti e due i fianchi un disegno bianco di luna piena. Sarà la tua guida. Quando si fermerà, sacrificala, e in quel punto fonda la tua città.” Cadmo effettivamente si imbattè nella suddetta mucca, la seguì e, dopo varie peripezie, l’eroe costruì la rocca della famigerata Tebe. Non siamo cambiati di una virgola. Anche noi, come Cadmo, ci troviamo di fronte a questioni che sembrano insormontabili, e poniamo domande al nostro personale Oracolo: il computer. Già, perché oltre a guardare video di gattini che si comportano in modo buffo e farci i fatti degli altri su facebook, i computer, non quelli che abbiamo a casa, ma quelli un po’ più sofisticati, servono a risolvere problemi estremamente complessi, problemi contenenti una quantità incredibilmente vasta di dati e di variabili, che ci scoppierebbe la testa a calcolare da soli: dalla finanza alla meteorologia, passando per la sicurezza informatica e l’invenzione di nuovi materiali. Un computer funziona in modo relativamente semplice. La sua natura è quella di processare informazioni. L’unità basilare per costruire tali informazioni è il “bit” (sottinteso “of information”, letteralmente pezzetto di informazione). Un bit è come una lampadina: può essere solamente acceso o spento, può assumere solo i valori di 0 o 1. Se mettiamo insieme più bit siamo in grado di scrivere una sequenza più lunga di 0 e 1, che contiene dunque più informazioni, che possono essere processate attraverso i cosiddetti “gate logici” collegati tra loro a formare circuiti che permettono di addizionare i numeri scritti sotto forma di sequenze di 0 e 1. Mediante l’addizione si può eseguire la moltiplicazione, e con la moltiplicazione praticamente qualsiasi altra operazione possibile. Un computer è come una classe di bambini che eseguono calcoli matematici molto semplici, i quali però messi insieme risolvono problemi intricatissimi. La potenza di calcolo del computer dipende da quanti bambini riusciamo a rinchiudere nella stessa stanza. Uscendo da questa metafora che sta assumendo toni inquietanti, il chip di un computer è tanto migliore quanti più bit riusciamo a farci entrare dentro. Questo è un problema, poiché i bit attraverso cui scriviamo i nostri desideri al computer non sono volatili, invisibili, o immateriali, ma sono qualcosa di fisico, poiché sono portatori di informazione, e l’informazione è sempre fisica: quando leggo un libro il medium dell’informazione sono la carta e l’inchiostro, quando sento qualcuno parlare il medium è l’aria attraverso cui si trasmettono le onde sonore provocate dalla vibrazione delle sue corde vocali, quando il nostro organismo legge il DNA per costruire proteine il medium è la sequenza di basi azotate racchiusa in quella preziosissima molecola. Nel caso dei computer i bit di informazione sono dei minuscoli interruttori chiamati “transistor”, costruiti spesso con l’elemento del silicio, che ha dato il nome alla californiana Silicon Valley: questi possono permettere il passaggio di un flusso di elettroni o bloccarlo. Si hanno così gli input 1 e 0, acceso e spento. Come detto sopra, se vogliamo più potenza di calcolo dobbiamo codificare più informazioni; dobbiamo avere più bit, e quindi più transistors. L’unico modo per aumentare la densità di transistors su uno stesso chip, è costruirne di più piccoli. Questo è ciò che abbiamo fatto fino ad oggi, diminuendo sempre di più la taglia dei transistors e aumentando di conseguenza la potenza dei nostri computer. Questo processo ha conosciuto uno sviluppo vertiginoso: la legge di Moore già nel 1965 aveva predetto che “la complessità di un microcircuito, misurata tramite il numero di transistor per chip, raddoppia ogni 18 mesi”. Ma adesso ci siamo fermati. Come scusa, e che è successo? La scienza e la tecnologia possono tutto, no? Beh, il fatto è che proprio non possiamo costruirli transistors più piccoli di così, perché siamo arrivati al livello atomico. Sì, è sempre la vecchia storia di Democrito: la natura a un certo punto dice basta, puoi rimpicciolire un bel po’, ma arrivato all’atomo ti fermi. Per la prima volta il progresso tecnologico si è fermato davanti a un limite fisico: dopo aver scavato attraverso intere montagne, dobbiamo arrenderci per colpa di un microscopico e insignificante atomo. I ricercatori hanno rosicato non poco, e volendo farla pagare a quell’atomo che si è preso gioco di noi, si sono fatti venire un’idea: sfruttare proprio le stranezze del mondo dell’estremamente piccolo per dare vita a una vera e propria rivoluzione informatica. Nel primo decennio del secolo scorso infatti, i “quanta” (in latino “quantità”, come vennero chiamate le porzioni più piccole di materia che possiamo considerare), cominciarono a far innervosire gli scienziati, perché si divertivano a buttare all’aria secoli di intuizioni, esperimenti e teorizzazioni, comportandosi in modi del tutto assurdi per chi era abituato alle eleganti leggi del moto elaborate da Newton. Nasceva una nuova branca della fisica, la meccanica quantistica, un tentativo disperato di tornare a capirci qualcosa e di non far crollare l’intero edificio della scienza moderna per colpa di qualche elettrone sbruffone. Fu un travaglio sofferto quello di questa ricerca, il che si vede dal fatto che non fu partorita da una singola mente geniale come fu per la relatività con Einstein: il suddetto signore baffuto non poteva mancare all’appello, ma i contribuiti a questa svolta epocale vennero da tutti i paesi. Ogni studioso aggiunse il suo personale tassello a un puzzle che sembrava impossibile, a tal punto da far scontrare diverse scuole di pensiero sull’interpretazione della teoria che andava delineandosi. E non è banale: l’interpretazione va bene per le poesie, per i filosofi, ma i pianeti girano così e basta, senza se e senza ma. La meccanica quantistica fu la prima teoria fisica che, una volta posto sul piatto un certo modello matematico, fece sorgere la domanda: “E nella realtà che vuol dire questa roba?” Date tali premesse, ora viene la parte difficile, spiegare la quantistica in poche righe (come se io ne sapessi qualcosa). Un pallone può girare in senso orario o antiorario. Se il pallone avesse dimensioni subatomiche, potrebbe girare in entrambi i sensi contemporaneamente. Siete confusi? Se vi può consolare, il grande fisico Richard Feynman disse che chi crede di aver capito la meccanica quantistica, non ci ha capito niente. Egli alludeva al fatto che i fenomeni quantistici sono totalmente contro-intuitivi, in contraddizione con ogni conoscenza comune che ci siamo formati riguardo il mondo attorno a noi. Una delle loro bizzarrìe è la cosiddetta “sovrapposizione”. Un esempio: a un elettrone viene associato uno “spin”, ovvero lo stato di allineamento al suo campo magnetico, ma per semplicità, possiamo immaginarlo come la rotazione della particella attorno al proprio asse. Lo spin può assumere due stati, “up” e “down”. La particolarità sta nel fatto che le particelle elementari possono esistere in una sovrapposizione di stati: l’elettrone ha spin up e down contemporaneamente; il pallone gira in entrambi i sensi allo stesso tempo. L’idea è la seguente: sostituire i tradizionali bit d’informazione con dei “qubit” (“quantum bits”) ad esempio un elettrone, che siano in grado di codificare non più uno solo tra gli imput 0 e 1, ma entrambi contemporaneamente, associandoli a degli stati quantistici in sovrapposizione, come lo spin di un elettrone. La possibilità di codifica delle informazioni in questo modo si amplia enormemente: per scrivere le quattro diverse sequenze: 00, 01, 10, 11 avremmo bisogno di 8 bit classici, uno per ogni valore; basterebbero invece due soli qubit, in grado di assumere i valori di 0 e 1 allo stesso tempo e di produrre così tutte e quattro le combinazioni. Andiamo avanti: 3 qubit producono 8 combinazioni, quando per ottenere le stesse 8 servirebbero 24 bit classici. 4 ne producono 16. Notiamo che le possibilità di codifica aumentano in maniera esponenziale: un numero n di qubit produce 2 elevato alla n combinazioni. 20 qubit possono già contenere 1.048.576 configurazioni contemporaneamente.  Ma vi dirò di più: fino ad ora abbiamo parlato solo delle possibilità di immagazzinare informazioni di quello che ha preso il nome di computer quantistico. La cosa più sconcertante è la sua capacità di processarle. Un computer tradizionale esegue operazioni una di seguito all’altra nella risoluzione di un problema. Esattamente come faremmo noi se dovessimo scoprire il codice di un lucchetto, prova una disposizione di numeri dopo l’altra finchè non raggiunge il risultato esatto. Immaginate di dover trovare una x scritta su una pagina di un libro situato in una vastissima biblioteca: l’unico modo sarebbe di passare in rassegna ogni libro, uno per uno. E se potessimo avere tanti altre versioni di noi stessi provenienti da altre dimensioni, che nel momento stesso in cui noi controlliamo un volume, compaiono dal nulla frugando in altri?  Il computer quantistico può percorrere diverse strade simultaneamente, tentare più strategie senza soffermarsi singolarmente su ciascuna di esse: quando inseriamo dei dati scritti tramite qubits in un circuito di gate logici, il calcolo viene svolto mantenendo lo stato di sovrapposizione, così da svolgere diverse operazioni nello stesso percorso di calcolo, risparmiando un’eternità di tempo, riuscendo a svolgere in pochi minuti operazioni che richiederebbero anni a un computer basato sui transistors, e raggiungendo una potenza di calcolo che fino a vent’anni fa era pura fantascienza. Ci sono delle difficoltà ovviamente nella realizzazione di questi oggetti. E’ complicato manipolare a proprio piacimento un singolo elettrone, e le sue magiche proprietà quantistiche che sembrano oltrepassare i limiti spazio-temporali si manifestano solo a temperature molto basse, perché più fa caldo e più le particelle si muovono, e l’energia cinetica fa “collassare” le sovrapposizioni di stati in uno stato determinato. Per questo è necessario un enorme impianto di raffreddamento per far funzionare un minuscolo chip. Ma anche i primi computer negli anni ‘50 occupavano interi laboratori…                                  Vi ricordate ancora di Cadmo? Non l’ho citato senza motivo: vi spiego cosa c’entra un mito greco con le frontiere dell’informatica. Il computer quantistico è la prima macchina che oltrepassa le capacità razionali dell’uomo. Mentre una squadra di bambini con delle basi di aritmetica potrebbe riprodurre tutti i calcoli di un computer classico, non potrebbe mai eguagliare le capacità di uno quantistico, poiché per quanto diligenti i fanciulli siano, possono svolgere solo un calcolo alla volta. Vi sfido: provateci quanto volete, ma se volete far processare alla vostra mente due banali somme come 2+2 e 2-2, ne penserete prima una e poi l’altra, magari a distanza di millisecondi, ma mai sovrapposte. Il computer quantistico ha una capacità che abbiamo sempre sognato, tanto da attribuirla a un Essere Perfetto Onnisciente: la visione d’insieme, complessiva e unitaria di tutta una realtà. Noi guardiamo la città sempre dalla limitata prospettiva della nostra finestra, mai da tutti i punti di osservazione possibili allo stesso tempo. Nell’impresa di uscire da un labirinto, siamo costretti ad avventurarci, sbagliare strada più volte, trovarci davanti a vicoli ciechi… sarebbe tutto più facile se ci innalzassimo al di sopra delle mura e vedessimo la struttura dall’alto, individuando subito il percorso più utile. Questa è la prima macchina da noi ideata di cui non comprendiamo a fondo il funzionamento, per lo stesso motivo per cui non riusciamo a concepire il famoso pallone impazzito, va semplicemente oltre le nostre capacità, oltre il nostro modo di stare al mondo e di rapportarci ad esso. Non so voi, ma io ci vedo qualcosa che ha a che fare con la circolarità della storia. Quando interroghiamo l’oracolo quantistico, siamo esattamente come Cadmo che ascolta la pizia: ci affidiamo a qualcosa di superiore al nostro ragionamento logico-deduttivo. Spesso rimarremo strabiliati come lui quando si è sentito dire di abbandonare la sorella e seguire una vacca. Troveremo risposte che mai avremmo immaginato: le vie sono infinite, vi suggerisco solo la possibilità di creare modelli virtuali di sistemi complessi come molecole biologiche ancora sconosciute, per avanzare passi da giganti nel campo medico. Oppure predire sapientemente l’andamento dell’economia per salvare interessi privati protetti e mandare in rovina interi paesi in difficoltà… Qui sta la radicale differenza con Cadmo, nella responsabilità. I colossi della tecnologia, Google, Nasa, IBM, si stanno letteralmente facendo la guerra a colpi di qubit, gareggiando nel costruire chip che ne ospitino sempre più: da 7 qubit si è passati a 20, poi a 50, poi a 72… suona come l’inizio di una corsa agli armamenti che porterà a grandi conseguenze, positive o negative, a seconda di come verrà usato un tale potere. Quando l’oracolo quantistico ci dirà di seguire la mucca, dovremo essere noi a decidere se fondare o meno la nostra Tebe.

DAVIDE DE GENNARO

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