Il museo senza pareti

Sin dagli anni Ottanta gira per Roma una mostra “permanente”, fatta di robbaccia, sassi e genialità. È il museo all’ aperto di Fausto delle Chiaie, l’artista che da più di trent’anni mette in strada le sue opere di arte urbana e povera. Un museo nel quale l’artista non è che il curatore che crea le opere e il visitatore ne è il vero custode.

Ogni pomeriggio il signor delle Chiaie si reca a via di Ripetta, dietro l’Ara Pacis, espone le sue opere lungo l’inferriata che circonda il Mausoleo di Augusto, e lì rimane sino al calare del sole. Ogni giorno turisti e semplici passanti camminano davanti alla mostra. C’è chi continua camminando dritto per la propria strada e a chi invece capita di fermarsi ad osservare quella “spazzatura”, scoprendo che spazzatura non è.

Mi è spesso capitato di passare di lì, e ancora più spesso di scambiare quattro chiacchiere con l’artista, il quale è sempre felice di parlare con i visitatori. Così abbiamo intervistato Fausto delle Chiaie, l’artista del museo senza biglietto e senza pareti.

Per lei come e quando nasce Fausto delle Chiaie?

Come nasce Fausto delle Chiaie? Beh nasce un bel po’ di tempo fa. Vengo da molto lontano. E non nasce tutto subito, nasce così, piano piano, fino ad arrivare qua.

Come nasce invece questo museo aperto?

Tutto questo nasce istintivamente, avevo messo inizialmente un’ opera soltanto laggiù (ci dice indicando la parete della Chiesa di San Rocco, dove ora poggia la testa del suo pugile disegnato a terra) poi ne ho messe due, poi tre, poi mi sono accorto che era diventato un museo. Così è nato il museo all’ aria aperta.

E qual è stata questa prima opera che ha messo?

Proiettati nel futuro, ora se ne è andata via però l’ avevo messa là vicino, nella parte là dove ci sta proprio il pugile in questo momento, che ho messo dopo Proiettati nel futuro, con questa striscia disegnata a terra di questo personaggio.

Dunque questo museo è ora all’ aria aperta

All’ aria aperta certo, tanti dicono che è mio ma in realtà è vostro il museo, io ne sono solo il curatore.

Molti rimangono affascinati da questo suo modo di esporre

Io però ora sono penalizzato a causa di questo pannello (Fausto si riferisce a un’ installazione di un pannello interattivo messo dove prima c’era l’ inferriata, che spiega la storia del Mausoleo di Augusto ai turisti) ecco lì gli stranieri leggono la storia del passato e così si distraggono dal presente (ci dice indicando le sue opere). Il pannello ci parla del passato e io parlo del presente. Prima qui c’era un inferriata e le persone guardavano solo in basso alle mie opere.

E dietro questa inferriata c’erano dei topi, che ero sono apparsi anche qui?

Si si, qui dietro c’erano dei topi e io ci lavoravo sopra col titolo “zoo, raro esemplare di topo mediterraneo” questo perché le inferriate davano proprio l’ impressione di uno zoo, di una gabbia. E poi lì c’era proprio una tana di topi a cui io davo da mangiare, penso ci siano ancora.

A questo punto il nostro artista ha dovuto lasciarci un po’ di tempo per andare dal Dottore e tornare più tardi da noi.

Cosa può dirci del suo “Doppione”? Come nasce?

L’opera più importante di tutte. Come nasce te lo dico subito: tanto tempo fa sentivo i visitatori chiedersi “ma chi sarà l’artista di queste opere”, erano curiosi di sapere. E allora misi una fotografia e poi dopo ci misi pure il titolo “Doppione”, la mettevo in assenza mia, perché non volevo farmi vedere. Poi dopo iniziai a pensare che era meglio farsi vedere e allora mi misi qua e la gente così guardava la foto e si rigirava a guardarmi, e mi riconosceva.

Lei ha messo queste opere di arte urbana nel contesto della Roma classica

È l’opposto ravvicinato! Ora però con questo pannello che hanno messo direttamente sopra il mio museo sono un po’ troppo vicini, probabilmente cambierò posto se non lo leveranno.

Lei è stato anche al Pincio?

Si all’ inizio prima di venire qua, nell’ Ottantasei, stavo al Pincio, mettevo lì la mia prima esposizione, alla Terrazza del Belvedere. Da là tutta Roma si vedeva. Sono stato un po’ di tempo là, poi son sceso sono andato a esporre a Piazza dell’Oratorio vicino Fontana Di Trevi lì ho fatto due anni, a Galleria Sciarra. C’erano una decina di opere, e una di esse “Torno Subito”, quello della sigaretta, appartiene alla Galleria Sciarra dall’ Ottantotto, io me la porto appresso però perché ci tengo. Alla Galleria la esponevo con una sediolina e tante cicche per terra, era un’ opera simpatica.

Con tutti questi visitatori che sono passati nel suo museo, cos’è che la colpisce di più dei suoi visitatori?

A me colpiscono quando mi abbracciano, perché l’abbraccio è emozionante, significa che hanno apprezzato. Certo anche il grazie, ma il grazie si dice per questo per quello, ma l’abbraccio è veramente bello, il concetto di valorizzazione.

Dunque lei è ormai parte di questo luogo?

Si perché stando sul luogo continuamente, cominci a far parte del luogo. E il luogo ti suggerisce i lavori e tu naturalmente ringrazi il luogo. C’è una relazione dello spazio e l’ artista.

Ed è il luogo stesso a diventare arte?

Si, il luogo stesso tante volte diventa arte. Per esempio nel “il Doppione” , ci sono io  ma dietro di me c’è tutta la Res Publica, quindi è tutta la Res Publica è l’opera, meglio è parte dell’ opera come me. Come una scenografia. Perché le persone quando si girano, pensano a me automaticamente con il luogo dietro dove sono inserito. A volte si rigirano e gli dà un po’ fastidio che io non sto lì! Ma “il Doppione” non è la posizione, né il vestire uguale il doppione è la stessa persona.

Per concludere, cosa vorrebbe dire ai ragazzi del Manara?

Ma facendo una citazione, io vorrei dirvi soltanto, “L’ immaginazione è più della conoscenza”: Einstein.

GABRIELE  ASCIONE

CAROLA VARIALE

CHIARA GOVERNATORE

 

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