Editoriali dei direttori – Ottobre 2018

Aprile. O boh, forse maggio. Una giornata scolastica come tante altre. La mia testa, come innumerevoli altre volte vaga per sentieri indefiniti, stordita com’è dalle
nozioni che ha cercato a stento di assimilare durante le prime ore di lezione della giornata – o forse è solo fame. In tutto ciò le mie gambe puntano al sodo, è da loro che mi lascio trascinare per i soliti corridoi, per le solite grigie, interminabili scale per farmi giungere giusto giusto dinnanzi alla non proprio succulenta esposizione di cibarie che Lei, la solita macchinetta posizionata di fronte a Luciano, suole mostrarci quotidianamente. Sì, proprio un intervallo come tanti altri. Avvicino il polpastrello per digitare il codice delle solite schiacciatine – ormai tanto lo fa meccanicamente, quasi fosse un automa. Ma è proprio mentre mi accingo a celebrare il rito, che avviene l’impensabile. Vengo attratto da una modesta folla che si accalca all’ingresso della biblioteca. Mi avvicino. Vedo facce conosciute, riviste, a molte delle quali – però – non avevo mai saputo assegnare un nome. Uno di loro mi fa un cenno con gli occhi: dev’essere il capo di questo ignoto gruppo. <<Sei qui per il prossimo numero?>>, mi dice. <<Beh, veramente…>> <<Ci serve un articolo sulla situazione politica in Francia, hai tempo fino a sabato prossimo>>. Bene, questo più o meno è stato il mio personale imprinting con il giornale che avete tra le mani. Da allora ho passato un bel po’ di tempo in compagnia del nostro insetto preferito, fino ad arrivare – chi l’avrebbe mai immaginato?- a ricoprire questo nuovo ruolo. Essere direttore è sì un grande, grandissimo onore e una piacevolissima responsabilità assunta in nome del Manara, ma soprattutto un privilegio: ritengo infatti che tale ruolo offra l’occasione di osservare, raccontare e ascoltare (o meglio, leggere!) nella profondità chi realmente siamo noi. Noi manarioti, noi cittadini, noi giovani. Ci possono chiamare Millennials, Generazione Zero, “amebe alienate davanti a degli schermi” e persino “bestie globalizzate e inerti di fronte alla società”. Ma noi di valori – per quanto si possa obiettare – in fondo, ne abbiamo. Vero, magari non tutti nella stessa misura, ma sta proprio a noi – e non a chi ci guarda dall’alto del suo posto fisso – costruire una società che permetta a tutti di conquistarseli da sé, questi valori, guardando senza pregiudizi al mondo e alla sua stupefacente eterogeneità, dialogando e maturando reciprocamente. Ecco, dicono anche che non sappiamo, né vogliamo comunicare. E sì, forse siamo una generazione a cui, per aprirci e dedicarci nel profondo a qualcosa serve un impulso più intenso e appassionante rispetto agli altri migliaia che quotidianamente assediano il nostro io; ma ogni volta che riusciamo a farlo, il mondo lo cambiamo un bel po’ – e in meglio. E in fondo, nel suo piccolo, La Lucciola rappresenta tutto ciò: uno spazio libero, aperto a tutti, ardentemente desideroso di visioni diverse tra loro. E non bisogna essere editorialisti de La Repubblica per scriverci, né tantomeno saper affrescare Cappelle Sistine per disegnarci: basta essere – in tutta la nostra bellezza – noi stessi.

ALESSANDRO IACOVITTI

 

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Regna una desolante ignoranza, una preoccupante disinformazione che ci rende sudditi del pensiero di altri; fortunatamente ci sostiene la piacevole tranquillità della nostra certa saviezza, il nostro essere altro da quell’ignoranza responsabile del delitto della nostra stessa nazione. Purtroppo la vera ignoranza, quella che tanti danni produce a una società democratica, si accompagna sempre a un notevole, mastodontico orgoglio, o ancor di più alla vera e propria incapacità di riconoscere la propria stessa ignoranza: è ignoranza dell’ignoranza … un po’ come quando uno è talmente stonato da non rendersene neanche conto. Questo porta ognuno a dire: “io non sono ignorante, io so, io ho ragione, gli altri sbagliano”, ma se questa frase può essere pronunciata anche da un ignorante, colui che ignorante non è deve trovare il modo di distinguersi da questo, prendendosi la responsabilità e assumendosi la fatica di pensare e insegnando a costui come si pensa. Ma come si può curare un’ignoranza inconsapevole? E come si può farlo prima che qualche politico illuminato decida di affidare ancora più potere al popolo, non completamente ignorante ma certamente inesperto riguardo a dinamiche per affrontare le quali paga i politici stessi, per poi poterlo controllare e facilmente assoggettare sotto una splendente corona? Ebbene ci si può quantomeno provare facendo sentire la propria opinione e disponendosi alla critica ai riguardi di questa, facendo parlare dati, statistiche e competenze. Così opinione e contro-opinione, contro contro-opinione ecc. genereranno quantomeno un dibattito, costringeranno a informarsi meglio, alzeranno il livello della discussione fino a non tollerare più opinioni non sufficientemente supportate dalle potenti armi di cui sopra e magari risveglieranno qualche intelletto sopito. È un’Utopia? Ho sparato cavolate? Discorso banale e già sentito? Su cosa mi baso per definire l’ignoranza un problema tanto ingente nel nostro paese? E allora il PD? Dubbi e domande lecite, questioni sulle quali sono pronto a discutere, su cui sono disposto ad ascoltare altre opinioni … credo (non me ne voglia il mio orgoglio). Perché in fondo il vero messaggio che vorrei lasciare è molto semplice ed è solamente uno: SCRIVETE SULLA LUCCIOLA! Ma no dai… Non può aver fatto tutto questo discorso solo per dire questo… Discutiamone…

ANDREA CRINÒ

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