Feminism: fare libri è un mestiere di cura

Dall’8 all’11 marzo la Casa Internazionale delle Donne ha ospitato a Trastevere Feminism, la prima fiera dell’editoria delle donne in Italia. Chiara ci racconta la sua esperienza, resa possibile dalla collaborazione con zai.net

Varcare per la prima volta la soglia della Casa Internazionale delle Donne provoca una strana sensazione. Sembra di entrare in un locus amoenus, separato dal

resto del mondo. Il rumore assordante della capitale si dissolve tra i meandri dei corridoi e si viene immersi in un silenzio quasi soffocante. La sala allestita per la conferenza di presentazione di Feminism è piccola, ma piena di persone, perlopiù donne, e di una certa età. I giovani mancano, forse per la poca pubblicità fatta, forse per la manifestazione di “Non Una di Meno”, forse perché semplicemente poco interessati a un’iniziativa di questo genere. Ma la gente c’è, e si fa sentire.

A prendere per prima la parola è Maria Palazzesi di Archivia, una delle associazioni organizzatrici dell’evento. Il principale intento è quello di portare alla luce un panorama del libro d’autrice: cosa c’è dietro una scelta, un lavoro, un’impronta che rimane; perché le parole scritte acquistano un peso diverso, duraturo. La stessa scelta del titolo della fiera non è casuale: per il noto dizionario statunitense Merriam-Webster, feminism è la parola chiave del 2017, il termine la cui ricerca è cresciuta del 70%, prima in occasione della marcia delle donne, poi per lo scandalo di molestie sessuali.

Madrina dell’evento è Lidia Ravera, giornalista, scrittrice, autrice del romanzo Porci con le ali. Ha le idee chiare e, se all’inizio sembra pesare le parole che usa, dopo poco si apre alla platea che ha di fronte. Perché il sentimento che accomuna le persone in sala è lo stesso, ossia un desiderio, un bisogno forte di far sentire la propria voce, come scrittrici, ma soprattutto come donne: «Noi, che siamo più capaci di stare negli interni, che sono luoghi pericolosi perché in genere si pensa, veniamo sempre un po’ considerate, anche inconsapevolmente, come delle casalinghe che scrivono. Finché una donna non ha uno smodato successo, finché non vince il premio Strega, viene sempre un po’ considerata una casalinga che scrive e non una scrittrice, non un’artista, non una creativa». Ed è questo senso di rivalsa che emerge dalle sue parole.

Esistono uomini che, pur ritenendosi lettori forti, non leggono i romanzi delle donne: «Perché le donne scrivono della vita, e la vita secondo gli uomini è un

tema minore. Secondo me è il tema». Applausi a scena aperta più volte interrompono il suo intervento, e cenni di assenso si mescolano al brusio d’entusiasmo in sottofondo. «Si legge da soli e si scrive da soli, sono gli ultimi spazi di solitudine che esistono al mondo». Interviene Gino Iacobelli che, ridendo, sottolinea come ci siano più fiere del libro che libri venduti, e che se da una parte le grandi catene acquistano sempre maggior potere, diverse sono le librerie indipendenti che si trovano costrette a chiudere.

Differente tra le casi editrici è il modo di scegliere le autrici da pubblicare: c’è chi pubblica quello che piace, chi quello che è al passo con i tempi e chi, come Simona Monsignori della Manifestolibri, considera il proprio un lavoro ibrido, in quanto è la stessa casa editrice a chiedere un lavoro specifico su un tema che interessa o su cui sta lavorando. Tra i vari libri presenti, Monsignori ce ne indica uno che racchiude una raccolta di tweet, contraddistinti dall’hashtag #quellavoltache (lanciato da Giulia Blasi dopo il caso di Weinstein): «Tipico del potere maschile è mettere a tacere la voce delle donne. Nel libro ci sono 250 testimonianze di donne italiane, non famose, donne qualunque, come noi. Ragazze poche, adulte tante, e abbiamo pensato che dovesse rimanere, perché così come i social sono potenti, allo stesso modo risultano volatili. E questo, invece, è uno strumento da poter dare in mano».

Si discute di quanto la scrittura di massa abbia cambiato il rapporto con la parola e come la scrittura sia diventata di tutti: chiunque scrive, anche senza accorgersene. Così Rivera si propone di provare a costruire una letteratura della brevità e dell’effimero, che parta proprio da quanta letteratura si faccia in rete. Con la scrittura letteraria, la parola durevole, cambierebbe anche la seduzione via web: «Bisogna soffermarsi sulle cose intelligenti. Siate selettivi. Fate attenzione alle cose che vi fanno crescere, che vi illuminano. Un romanzo deve fare o ridere o piangere o pensare. Meglio tutte e tre le cose. Se non fa nessuna delle tre cose, tirate via, ché perdete tempo».

CHIARA CATALDI

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