Editoriali dei direttori – Aprile 2018

È difficile mettere le parole in fila, quando hai mille pensieri in testa. Hai bisogno di quattro passi da solo, a mente sgombra, per cercare di orientarti con lucidità in un mare di dubbi e perplessità. Bene, la genesi di questo numero de La Lucciola è stata tribolata, e me ne assumo ogni responsabilità. Perché la scelta di

guidare la nave è stata una scelta di cuore, e fa male capire di non aver saputo tirare la barca avanti quando c’era bonaccia, o di averla forse spinta troppo in là quando c’era da remare piano. Quando vedi venir meno attorno a te l’energia e la dedizione appassionata, non puoi non dir nulla, giacché – inevitabilmente – hai perso. La Lucciola, per me, è sempre stata una carica d’adrenalina forte, un mettersi in gioco senza riserve per un obiettivo condiviso: non ho mai costretto a rompersi la testa controvoglia, perché ritengo che il risultato non possa prescindere dalla spontaneità, dall’entusiasmo di chi dà se stesso alla causa. Però, ecco, questo entusiasmo avrei dovuto coltivarlo, rinvigorirlo, facendo anche sacrifici e rinunce per il bene di tutti. Avrei voluto comunicare questo, perché in questo credo. Eppure, proprio in simili momenti, alla fine riesci a inventare – neppure sai come – qualcosa d’inaspettato, in cui riversi quell’irrazionale carica emotiva che, or ora, rischiava di farti naufragare. Se il numero di aprile, oggi, è tra le vostre mani, è per il lavoro encomiabile di quanti, dall’intervista alle foto, dalle didascalie agli articoli, hanno dimostrato attaccamento. Un plauso sincero e doveroso al mio amico, prima che collaboratore, Andrea, che ha sostenuto me e il progetto nonostante tutto, e su cui ho sempre potuto contare sia umanamente che professionalmente. Proprio come voi potrete contare sulle innumerevoli cazzate (e non solo) che, come ogni mese, siamo felici di proporvi.

ALESSANDRO DI SERAFINO


Responsabilità. Un termine che ci fa paura, ci fa crescere, ci mette ansia, ci rende fieri, che pretendiamo da tutti, che ci viene richiesto sempre più: insomma, una realtà che ci coinvolge e travolge nell’intricatissimo percorso della nos tra crescita. La Res pons abilità è la compagna inseparabile di quella Politica che spesso la reclama e al tempo stesso la dimentica, è il peso sulle spalle di Mattarella, la condizione necessaria per la formazione di un governo composito come quello che bussa alle nostre porte. La Responsabilità è la sorella della Coerenza, del coraggio di accettare tutte le implicazioni di un’azione o di un comportamento assunto sia sul piano giuridico che morale; è una donna seducente che ognuno di noi vorrebbe, ma per la quale non tutti sono disposti a spendere e a spendersi una volta intrapresa la relazione. Messa così è bella pesante; siamo davvero pronti a crescere se è questo ciò che ne consegue? Per adesso la Responsabilità è stata per noi una mamma che ci dice di studiare, di sistemare la camera, ma senza troppa pressione, lasciandoci la libertà di disobbedirle senza grandi conseguenze; davvero è destinata a una svolta tanto tirannica? Forse sì, se la vediamo come un’imposizione esterna, dettata da una società opprimente. Ma forse la sua ragione di esistere non è proprio quella; forse la sua funzione è quella di accompagnare la Consapevolezza delle nostre azioni per renderci protagonisti della nostra vita; forse, in questo momento, Mattarella si sta allegramente cullando nella soddisfazione di avere un Paese che si affida alla sua assennatezza; forse, togliendo la piramide di vestiti dalla sedia della nostra scrivania, potremmo ritrovare quel giocattolo che davamo per disperso dal 2004 e, chissà, magari crescendo la Responsabilità potrebbe diventare la nostra compagna di giochi.

ANDREA CRINÒ


Un paio di mesi fa mi è successa una cosa piuttosto singolare. Stavo rovistando nei cassetti della cattedra della mia classe, nella vana speranza di trovare una versione di greco, quando mi sono inaspettatamente imbattuto in qualcosa di ben più interessante: una vecchia Lucciola. Era lì, come se volesse comunicarmi qualcosa, come se il destino me l’avesse riservata, e mi sono sentito un po’ come ci si sente quando si riesuma un vecchio ricordo d’infanzia. Perché quella Lucciola, datata marzo 2015, probabilmente era rimasta sepolta in quel cassetto per tre lunghissimi anni. Mentre cadevano governi, crescevano grattacieli e abdicavano imperatori (leggasi l’addio di Totti al calcio) lei, inconsapevole, riposava al buio. Così mi è tornato alla mente il vivido ricordo di quando, per la prima volta, vidi una lucciola, una vera lucciola. Ero in campagna, niente più che un bambino affascinato dalla bellezza della natura immersa nell’oscura notte, quando mia madre mi posò nelle mani un piccolo insetto di cui non avevo mai sentito parlare. I miei occhi furono come abbagliati dalla fioca luce che emetteva, eppure quella lucciola restava lì, ancorata alle mie salde e calde mani, incapace di spiccare il volo verso l’infinito. E, allo stesso modo, quella Lucciola aveva deciso di trascorrere i suoi giorni tra le materne braccia, nella sua culla, il Manara. Allora ho capito cosa volesse comunicarmi quel giornalino: che ormai la Lucciola è cresciuta, che ormai il Manara le sta stretto. Come per ogni bambino che cresce arriva il triste e allo stesso tempofelicemomentodilasciarelanatìadimora,così,dopomoltiannipassatiadilluminare lanostrascuola,laLucciola ha finalmente deciso che era il momento di spiccare il volo. Perché una Lucciola è molto più che una lampadina. Una lampadina può illuminare, è vero, ma la Lucciola è nata per fare molto di più: portare la sua luce ovunque voglia. Ed è proprio quello che ci siamo proposti di fare quest’anno: ampliare gli orizzonti del nostro piccolo grande giornalino che, chissà, magari i nostri successori saranno capaci di far conoscere anche al di là del cancello rosso. Così la Lucciola finalmente mette le ali, pronta a spiccare il volo libera e a illuminare l’orizzonte infinito.

 

ANDREA SATTA

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