Atlantide: la città che non è mai scomparsa

«Davanti a quella foce chiamata Colonne d’Eracle c’era un’isola. In tempi successivi però, essendosi verificati terremoti e diluvi, nel corso di un giorno e di una notte l’Isola di Atlantide, sommersa dal mare, scomparve»

Platone

Degli innumerevoli miti che hanno avvolto con un fitto alone di mistero l’immaginario collettivo per secoli e secoli, quello della

città scomparsa di Atlantide è senza dubbio uno dei più intriganti. Ce lo racconta Platone nel Timeo, ed è il primo a far diretta menzione della civiltà perduta, seppur di gran lunga precedente al suo tempo. Egli la colloca 9000 anni prima di Solone, dunque nel 9600 a.C. circa: più lontana a lui di quanto sia distante dai giorni nostri il filosofo stesso. Comunque, Platone ci parla di una civiltà superiore fondata per volere del dio Poseidone ed opposta alla città di Atene: tanto sviluppata quanto inaccessibile, nell’arco dei secoli è stata oggetto delle più visionarie rappresentazioni, ha ispirato numerosissime opere e alimentato speranzose ricerche.

La misteriosa e improvvisa sparizione di Atlantide, infatti, affascina l’uomo sin dai tempi di Omero e la sola idea di trovarla è una tentazione troppo irresistibile per lasciare insoluto un arcano così enigmatico. Dunque, come nel caso di El Dorado, per molti la sua ricerca costituì una vera e propria ossessione, e ben presto la città sommersa dal mito divenne vera e propria leggenda. Delle centinaia di ipotesi che sono state avanzate circa l’inabissamento della civiltà atlantidea, quella che sicuramente più convince si fonda sulla stretta connessione con il Diluvio Universale. Possediamo infatti numerose testimonianze di vari popoli, tanto distanti localmente quanto culturalmente, che tramandano il ricordo della terribile inondazione dovuta al Diluvio. Inondazione che, a sua volta, potrebbe essere stata causata dal devastante impatto, nel mezzo dell’oceano Atlantico, proprio lì dove si trovava Atlantide, di un asteroide così potente da alzare un’incredibile quantità di acqua. Una fine ingloriosa, secca, crudele e spietata per un mito che potrebbe essere assurto a meravigliosa favola. E perché non considerarlo tale? In fin dei conti, se Atlantide è davvero esistita o meno, cosa importa? Per adesso non ci è dato saperlo. Nessuno può dire con certezza cosa ne sia stato della civiltà in esame, e allora vale la pena

dare un senso all’indissolubile mistero legato alla sua esistenza. Forse è solo una leggenda, forse una creazione fittizia dell’umano ingegno: cosa

importa? Ciò che conta davvero è il messaggio che nel corso dei secoli, per mezzo di filosofi, poeti e sognatori, ha portato con sé; un messaggio tanto potente quanto delicato, tanto manifesto quanto occulto. Atlantide esiste ed è sempre esistita dentro di noi, nella nostra coscienza, nella nostra memoria storica. Per lungo tempo ce ne siamo dimenticati, cercando invano qualche antica colonna negli abissi e non capendo che il patrimonio più importante che gli antichi ci hanno lasciato non è Atlantide stessa, ma ciò che essa rappresenta.

E proprio ora che l’uomo ha bisogno di salvare il pianeta che sta distruggendo, di riparare quella grande nave che affonda che è la Terra, è arrivato il momento di rinunciare alla vana ricerca di una civiltà di cui poco e nulla si sa, e piuttosto iniziare a rintracciare dentro di noi il messaggio che porta con sé.

Atlantide, civiltà divina all’avanguardia della tecnica, è paradigma della scienza stessa, è l’unico mezzo grazie al quale l’uomo può riparare la propria nave ed evitare un’altra inutile tragedia, la più devastante delle tragedie. La città sommersa, uno dei più grandi arcani e dei più tormentati misteri della storia dell’umanità, in realtà non è mai scomparsa. È solo rimasta immobile per secoli, in attesa del giorno in cui l’uomo l’avrebbe finalmente trovata dentro di sé. Un’eredità invisibile che trasmettiamo di generazione in generazione, un silente lascito per merito del quale il potere della scienza è sopravvissuto anche nei momenti più bui della storia. Una bolla che lo ha protetto incessantemente, un forziere inviolabile in grado di schiudersi nel momento del bisogno. Ed oggi è finalmente giunto il momento di aprire quello scrigno, poiché solo con lo sviluppo della scienza l’uomo sarà in grado di scrutare dal ponte della nave che affonda nel mezzo dell’oceano una sicura isola in lontananza: un’isola che non è mai esistita ma che ora è qui, pronta ad accogliere chi, nel buio più pesto e accecante, non ha mai smesso di vedere un barlume di speranza.

ANDREA SATTA

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