Quando avevo sei anni

Quando avevo sei anni ho conosciuto una signora sposata con Dio, ma che amava noi bambini anche se facevamo chiasso e riuscivamo a buttare giù un istituto. Aveva qualche chilo di troppo, beveva acqua in continuazione e il suo accento ricordava il lungomare napoletano. La sua canzone preferita era “A te” di Jovanotti, una volta mi ha mandato a posto con zero spaccato in storia perché le avevo detto che la sua crema per le mani puzzava e mi pizzicava le guance invece di baciarmele. Avevano tutti paura di lei, tutti, tranne noi. Noi che la abbracciavano cercando di cingere la sua vita perfettamente: “Suora, non mi toccano le mani!”.

Noi che la facevamo ridere con le nostre verifiche di matematica, noi che “Da grande voglio diventare un astronauta!”, che le pulivamo in giardino la macchina e ci facevamo comprare i gelati dopo pranzo. Io, quella donna che mi faceva girare per la scuola con il mio tema in mano per farlo leggere di classe in classe, non la vedo da otto anni e, se la dovessi rivedere, avrei tante cose da dirle. Le vorrei dire che sì, ancora scrivo, ancora studio – “Alessa’, figurati se c’avrai problemi te!” –, ancora prego. Le vorrei dire che i miei compagni di classe ancora li vedo e li abbraccio, che Vincenzo ha spiccato il volo e che Alice rompe sempre un po’ le scatole. Le vorrei far vedere che mi sono alzata – “Mamma mia quanto cresci!” –, che sto bene, che a volte piango ma solo per ritrovarmi e salvarmi, che ho ascoltato ultimamente la canzone che ci aveva registrato per salutarci e ho pianto come una bambina, che la vita va avanti e io ho paura di non starle al passo, di sbagliare, di farmi male e non poter più tornare indietro. Le vorrei raccontare delle medie, del liceo, delle mie sorelle che sono cresciute bene anche loro e che la pensano sempre, di mia mamma che è sempre bella e mio papà sempre attivo, di mio nonno che ancora chiede come sta messa Napoli – “Suor’Antone’, la terra mia come sta?” –, dei miei diari che, anno, dopo anno, continuano a riempirsi di parole piene e pesanti. Perché io, dalle persone, mi faccio sempre un po’ segnare e forse lei, la donna grande come il suo cuore, l’ho incisa sulla pelle. Questa maturità la dedico a lei, che ci leggeva ad alta voce “I promessi sposi” e “Don Chisciotte” facendomi ridere con la sua voce che cambiava a seconda dei personaggi, e che mi ha insegnato a scrivere fino a farmi sanguinare le mani.

ALESSANDRA CASCIELLO

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