Il calcio che verrà

Gli ultimi sviluppi in termini societari e finanziari del calcio non lasciano presagire niente di buono. Dove porterà l’industrializzazione del mondo del pallone?

Chissà cosa proverebbe un uomo venuto dell’altro secolo nel vederci fermi ad un semaforo, seduti in una macchina che sembra uscita da Tron, magari mentre una voce che fuoriesce da una scatoletta ci dice la strada e un’altra ci permette di parlare con un amico dall’altra parte del mondo. Tutto questo oggi per noi è normale ma, a ben guardare, tale frenetico sviluppo che – chissà – un giorno ci potrebbe portare a viaggiare nel tempo e a teletrasportarci nello spazio sembra correre più veloce di noi stessi. Un discorso, questo, che potrebbe essere ampliato all’infinito; ma spetterà ad altri l’arduo compito.  In realtà, ciò su cui voglio riflettere oggi con voi sono gli effetti di una tanto rapida trasformazione del mondo in un tanto longevo gioco quale il calcio. Moviole in campo, bombolette spray, goal-line technology, più arbitri che calciatori. Tutte novità che forse i più nostalgici dell’ancient régime vedono come la fine del calcio, ma che in realtà incidono fino a un certo punto e che, indipendentemente dall’opinione personale, in un modo o nell’altro possono giovare ad un gioco più corretto e giusto.

Il vero nemico del calcio – e, più in generale, dello sport – è un altro, e si chiama industrializzazione. Tutto ciò, in effetti, può risultare alquanto contraddittorio: cosa cambia tra la goal-line e l’industrializzazione? L’industria di cui si vuole parlare non è un’industria tecnica o tecnologica, quanto piuttosto un’industria finanziaria. Sono i soldi che rendono il calcio marcio e che lo stanno portando ad un punto di non ritorno.

Ormai, se un milionario senza scrupoli vuole far fruttare un po’ di soldi, non compra più un’azione della FIAT o della Apple, ma compra “una squadra di calcio”. Tutto ciò era impensabile fino a qualche anno fa, quando Moratti investiva anche l’anima pur di vedere la sua Inter trionfare e Rosella Sensi non badava a spese pur di far cantare ancora una volta gloriosi inni. Eppure oggi il calcio è cambiato: oggi un americano a Roma non viene più per mangiare spaghetti, ma per fare un po’ di soldi con uno stadio e, appena possibile, lasciare il timone a qualcun altro. In meno di dieci anni già tre delle più importanti società italiane sono diventate “straniere”. Prima la Roma, poi l’Inter e, da poco, anche il Milan. È un caso che nessuna di queste vinca nulla? È un caso che il primo spagnolo che approda a Roma decide che per la bandiera della Roma e del calcio italiano è ora di smettere? Ma la vera domanda è: tutto ciò dove porterà il calcio?

Una risposta è difficile da dare: certo è che, se si procede in questa direzione senza mai fare inversione di marcia, non risulta poi tanto assurdo immaginare un gruppo di cinesi a capo del calcio europeo, tutti seduti attorno a un tavolo, che trattano i calciatori come noi trattiamo i contratti quando giochiamo a Monopoli. Forse questo diventerà il calcio: un grande gioco da tavolo.

Lascio a voi immaginare come sarà il calcio tra dieci anni, ma prima di concludere può essere interessante lasciarvi riflettere su questo: i mondiali di calcio, che sembrano essere scevri da qualsivoglia forma di industrializzazione finanziaria, sono davvero tali dopo che il presidente cinese esprime la volontà di voler trasformare la Repubblica popolare nella più grande potenza calcistica e il Consiglio di Stato emana direttive per costruire decine di migliaia di campi e scuole calcio, investendo miliardi di dollari in un progetto così ambizioso volto a fare dei giovani delle “macchine del calcio”?

ANDREA SATTA

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