Buone notizie dall’Africa

Il Gambia, soffocato da 22 anni di dittatura, ottiene finalmente la libertà all’insegna di un voto democratico. Grande risultato, frutto degli sforzi congiunti di gambiani e comunità internazionale, che non potrà non avere risvolti geopolitici positivi

L’immigrazione è un tema di cui ormai quotidianamente sentiamo parlare e del quale possiamo ritenerci quasi esperti grazie al web e ai nostri potenti strumenti di informazione; siamo almeno parzialmente consapevoli dei problemi legati al viaggio attraverso il Mediterraneo, forse siamo anche venuti a conoscenza della grave situazione che porta la popolazione a partire dalla Siria o dall’Iraq o dalla Libia. Tuttavia, secondo i dati ISTAT, rispetto al 2014 sono in forte aumento gli ingressi dei cittadini del Gambia (oltre 5 mila, +209%), del Mali (quasi 5 mila, +135%), della Nigeria (9 mila, +68%) e della Costa d’Avorio (2 mila, +61%) e, in misura minore ma ugualmente molto consistente, anche dei cittadini del Ghana (3 mila, +27%) e del Senegal (7 mila, +19%): siamo a conoscenza anche dei motivi per cui questi fuggono dalla propria patria? Forse no, o almeno non tutti lo siamo.

Il Gambia è uno Stato dell’Africa Occidentale circondato dal Senegal ad eccezione del confine Orientale, da cui si affaccia nell’Oceano Atlantico. Fino a pochi mesi fa la sua situazione poteva dirsi disastrosa, eppure oggi possiamo parlare di un forte miglioramento nelle condizioni della popolazione che sicuramente sta producendo e produrrà una sensibile riduzione di partenze da questo Paese; una popolazione che, pur provata ancora sensibilmente dalla malnutrizione, è riuscita a liberarsi il 21 gennaio di quest’anno da una dittatura durata oltre 22 anni. Il dittatore in questione è Yahya Jammeh, un capo di governo che aveva vinto con la forza le elezioni sin dal 1994 e che, vistosi inaspettatamente sconfitto alle elezioni del dicembre 2016, rivelatesi più libere del previsto, ha reagito costringendo il neo-presidente Adama Barrow alla fuga in Senegal e manifestando l’intenzione di rimanere al governo nonostante la sconfitta.

È qui che entra in gioco, dopo una poco incisiva risoluzione dell’ONU, la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Cèdèao): un modello da imitare, una comunità di 15 Stati nata nel 1975 per promuovere e difendere la democrazia, che è riuscita a risolvere la questione senza alcuno spargimento di sangue, minacciando il dittatore con un intervento militare congiunto qualora non avesse lasciato il governo al regolare presidente. Tale organizzazione di cui poco spesso si sente parlare è per certi versi accomunabile all’ONU, ma risulta addirittura più efficiente in diversi casi, quale questo, per l’assenza del diritto di veto tra i suoi membri e per la possibilità di intervenire militarmente per fermare eventuali conflitti nei Paesi della comunità stessa.

Grazie agli sforzi della Cèdèao Jammeh, il 21 gennaio, lascia dunque il paese rifugiandosi in Guinea Equatoriale e portandosi dietro l’equivalente di oltre 11 milioni di dollari dalle casse dello Stato e numerosi beni di lusso dal palazzo di governo: un ultimo grande furto alla propria nazione, che adesso sta intraprendendo una serie di iniziative per rimediare, per quanto possibile, ai soprusi del dittatore.

Già nei primi giorni di governo il presidente Adama Barrow ha liberato dalle prigioni di Banjul oltre 260 detenuti politici e ha dovuto fronteggiare la questione, ancora aperta, della scomparsa di numerose persone durante gli ultimi anni della dittatura. Per quanto riguarda la popolazione, in molti avevano lasciato il Gambia durante la dittatura. Ovviamente con rischi enormi e, in particolare, più recentemente, durante le tensioni nei mesi di dicembre e gennaio tra il dittatore e il Senegal – che minacciava un’invasione –, i cittadini si sono rifugiati prevalentemente nello stesso Senegal, mentre dopo il 21 gennaio hanno iniziato a rientrare nel proprio Paese.

Questa, in breve, la situazione di un popolo che scappava dalla fame e dalla dittatura e che adesso ha cambiato la propria condizione autonomamente, tramite la libera scelta dei propri cittadini: un risultato fondamentale che cambia sensibilmente lo scenario anche sul piano dell’immigrazione, ambito di enorme rilevanza per noi, come abbiamo visto, ma che in questo caso sembra non essere stato preso in considerazione; scarsa è stata infatti la diffusione delle notizie riguardo questo avvenimento, ma ancor più scarsa la consapevolezza del fatto che questo risultato, che sembra così lontano dal nostro Paese, sia in realtà un grande beneficio anche per noi, come dimostrato dall’altissimo tasso di emigrazione dei cittadini del Gambia negli ultimi due anni, che ora senza dubbio subirà una forte diminuzione.

Occorre non solo informare riguardo tali avvenimenti – di cui comunque si possono avere numerose e sufficienti informazioni tramite ricerche personali più approfondite – ma anche sensibilizzare riguardo i Paesi di provenienza di tutte le persone che l’Italia accoglie quotidianamente (al di là della condivisione o dell’opposizione di questa linea politica) e anche, perché no, goderci qualche sana “buona notizia” in mezzo alle tante tragedie che affollano i nostri mezzi di informazione anche e, ultimamente soprattutto, riguardo questi temi.

ANDREA CRINÒ

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