TRAPPIST-1: tra fede e fantascienza
La scoperta della stella TRAPPIST-1 sconvolge la comunità scientifica e l’opinione pubblica; come sempre, però, alle risposte ottenute si accompagna un maggior numero di domande
Guerra eterna, Alfa Aleph, X-Files, Mass Effect; Le Orribili Salamandre, Guerre Stellari, Capitan Harlock; Fanteria dello spazio, No Man’s Sky, Spazio 1999, Solaris, i racconti di Lovecraft, quelli di Brown, i romanzi di Philip K. Dick, i vecchi film di Godzilla; le migliori puntate di Ai Confini della Realtà, Alien, Incontri ravvicinati del terzo tipo, Men in Black, Flash Gordon, 2001: Odissea nello spazio, Martin Mystére: libri, film, fumetti, videogiochi che raccontano storie di incontri e scontri con civiltà aliene e di colonizzazione di pianeti lontani; storie di guerra, di pace, di viaggi, dell’orrore, d’amore. Storie di un genere, la fantascienza, che affonda le sue radici in tempi lontani, e che dalla fine dell’Ottocento è partito alla conquista degli scaffali e delle vetrine di librerie, videoteche e ludoteche di tutto il mondo. Un genere che cerca di dare una risposta a uno dei più grandi quesiti dell’umanità che, atterrita di fronte alla sconfinata vastità del Cosmo, non può far altro che chiedersi, logorata da una curiosità esistenziale e da un recondito e reverenziale Terrore nei confronti dell’Ignoto: “Siamo soli?”
Una domanda, questa, che ha influenzato le vite di milioni, miliardi di persone qui sulla Terra; una domanda che ha decretato la nascita di vere e proprie religioni (quella Raeliana ad esempio, secondo cui la specie umana non è altro che una creazione della razza aliena degli Elohim, o alla ben più nota Scientology); una domanda da cui è scaturita una pseudo-scienza di tutto rispetto, l’ufologia, e che ha lasciato un segno indelebile nella cultura popolare mondiale. Una domanda, infine, che torna a imporsi prepotentemente alla luce dei riflettori, a quasi cinquant’anni dalla conquista della Luna: mercoledì 22 febbraio 2017 la NASA annuncia in un comunicato stampa che un telescopio sulle Ande ha scoperto TRAPPIST-1, una stella a 39 anni luce di distanza dalla Terra, intorno alla quale orbitano sette pianeti con una temperatura e una conformazione tali da rendere plausibile la presenza di acqua allo stato liquido: requisito fondamentale per lo sviluppo della vita come la conosciamo. Le implicazioni di questa scoperta sono chiare a tutti sin da subito: i sette pianeti sono abitabili. Magari – azzarda qualcuno – addirittura abitati.
I pareri sono ovviamente contrastanti. Molti, infatti, preferiscono rimanere scettici nei riguardi di un’affermazione così pesante. Stephen Hawking, fra i più grandi uomini di scienza del nostro secolo – nonché di certo il più popolare –, scriveva già nel 2001 nella sua opera più nota (“L’universo in un guscio di noce”) come sia piuttosto improbabile che esistano forme di vita al di fuori del nostro pianeta; e che, pur ammesso che esistano, è ancora più improbabile che siano dotate di intelligenza, stroncando i sogni romantici di intere generazioni. Possibile che l’arzillo scienziato si sia sbagliato?
D’altronde è proprio di Romanticismo che bisogna parlare se si vuole citare il più illustre sostenitore della tesi aliena, Immanuel Kant, che faceva oggetto “di una salda fede” la presenza di una razza extraterrestre intelligente; fede avallata da voci scientifiche autorevoli che non mancano di schierarsi dalla parte di chi sogna (ad esempio quella di Margherita Hack, che sosteneva che “Il sole è una stella comunissima. Pensare che le condizioni per la formazione della vita si siano verificate solo sulla terra è assurdo. Sappiamo che ci sono miliardi di pianeti: dal ’95 a oggi ne abbiamo scoperti oltre 300, sappiamo anche che quasi tutte le stelle (come il sole) hanno dei sistemi planetari quindi è ipotizzabile che ci siano miliardi di terre solo nella nostra galassia. Se contiamo che ci sono miliardi di galassie […]. Ci sono stelle molto più vecchie del sole che ha 5 miliardi di anni. Quindi è facile che le civiltà extraterrestri siano molto più evolute di noi”).
Se su TRAPPIST-1 la vita esiste sul serio, tuttavia, con tutta probabilità noi sognatori di questa generazione non lo sapremo mai. Come detto, infatti, la Nostra stella si trova a quasi quaranta anni luce da casa: una distanza, questa, che appare praticamente infinita, a meno che non venga sviluppata in tempi brevi una tecnologia che ci permetta di viaggiare a velocità ben più elevate di quella della luce; il piacere e l’ebbrezza della scoperta e, magari, del contatto, spetterà a qualcun altro, qualcuno che nascerà forse cinquanta, cento, mille anni dopo la nostra morte. Cosa rimane dunque a noi, oltre alla nostra domanda, alla nostra curiosità esistenziale e al nostro recondito, reverenziale Terrore per l’Ignoto?
Non ci rimane nient’altro se non fare ciò che la nostra specie ha fatto per milioni di anni da quando nella nostra mente si è accesa la scintilla dell’autocoscienza: guarderemo il cielo in una notte senza nuvole e scruteremo l’immensa vastità del cosmo e ci chiederemo ancora “Siamo soli?”; ma lo faremo con una fede rinnovata, scandagliando l’universo con i nostri occhi, alla ricerca dell’angolo di infinito che secondo noi contiene TRAPPIST-1, immaginando le meravigliose creature che abitano quelle terre lontane, con buona pace di Stephen Hawking. Perché tutto ciò che ci rimane sono i sogni e le domande. E le domande, di solito, sono più importanti delle risposte.
DAVIDE RUBINETTI