And the Oscar goes to… – Il Cinema (non) politicizzato e la sua sacralità

“Il Cinema (quello che si suole chiamare cinema) è ancora agli inizi, ma al termine della sue evoluzione diverrà la trovata più formidabile del mondo, nel senso che ergerà di fronte all’umanità una sovraumanità, così come opporrà alla creazione una surcreazione. Questo Cinema futuro moltiplicherà con le sue nature la Natura.

Il Cinema futuro accrescerà con i suoi esseri il normale numero degli esseri.

Il Cinema futuro non avrà schermo, perché i suoi regni saranno l’Impero universale.

Il Cinema futuro sarà vivente perché deriverà le sue forme dalle forze straordinarie che si vanno scoprendo di giorno in giorno.

Il Cinema futuro non sarà più <sole sopra>, ma <sole dentro>. Andrà in giro per il mondo, come voi e me.

Il Cinema futuro sarà a un tempo pittura e scultura.

Congiuntamente a questi corpi vi sarà l’avvento delle idee.
Per mezzo di questi fantasmi doppi, tripli, centupli, l’uomo non morrà. Questi esseri saranno la nostra prospezione, la nostra resurrezione. Il Cinema futuro è l’Immortalità.”

Con queste parole Saint-Pol-Roux, nel lontano 1984, all’interno della sua opera Cinema vivente, descriveva l’arte del Cinematografo. Il Cinema come ente superiore all’uomo, come multidisciplinarità e fusione delle varie arti, come fonte di salvezza.

E proprio da tali illuminanti appellativi di solennità e grandezza, che affidano quasi al Cinema un’essenza sacra (evidentemente non troppo diverso dalle idee del New American Cinema Group, congregazione di registi indipendenti e sperimentali di New York e fondato da Jonas Mekas nel 1960) e intoccabile, oggi sembriamo estranei, lontani; preferiamo fissarci su superficiali questioni che sembrano rendere l’arte del Cinematografo una pura merce di marketing e convenienza commerciale.

Per attualizzare il discorso: si son da poco concluse, il 26 febbraio 2017, le ultime edizioni degli attesissimi e celeberrimi Oscar. Il Dolby Theatre di Los Angeles è diventato così sede della cerimonia di premiazione che, come ogni anno, ha visto sfilare le celebrità cinematografiche del momento, acclamate dalla grande maggioranza del pubblico mondiale. Discorsi su quanto questi premi siano inaffidabili e commerciali risultano ormai quasi del tutto inutili e insensati: è evidente la necessità di trattare l’argomento con la consapevolezza che quelli in questione sono riconoscimenti dal valore limitato, quasi insignificante, e che comprendono una parte miserrima di tutto il Cinema mondiale, o anche solo americano (possono essere infatti nominate unicamente pellicole statunitensi distribuite nella Contea di Los Angeles durante il precedente anno e che sono state emesse nei cinema per almeno sette giorni consecutivi). Questo meccanismo implica sia il fatto che vengano presentati esclusivamente film dal carattere commerciale, prettamente mainstream (termine non necessariamente di valenza negativa, si badi bene) sia che siano categoricamente escluse numerose opere del Cinema americano di valore immenso. La lista dei cineasti americani estromessi sarebbe eccessivamente lunga da esporre, ma è necessario avere sempre a mente questo concetto.

Sono seguite, come ogni anno, all’edizione degli Oscar appena trascorsa, innumerevoli polemiche, tra le quali la più clamorosa (escludendo le discussioni scaturite riguardo alla candidatura, a parere di molti immeritata, di vari cineasti neri in risposta alla campagna #OscarsTooWhite, hashtag che aveva spopolato sul web ed era stato fonte di dispute nell’edizione ancora precedente) è stata certamente quella della politicizzazione dei premi e dell’intera cerimonia. Negarlo sarebbe alquanto ingenuo e le conseguenze delle elezioni americane concluse solo tre mesi prima risultano evidenti: molti dei protagonisti del Cinema americano si sono pubblicamente dichiarati pro-Clinton (prima fra tutti Scarlett Johansson, durante la Women’s March di Washington) e non sono scarseggiate polemiche, più o meno velate, contro Trump (anticipate già dalla dura critica di Meryl Streep nel suo discorso ai Golden Globes).

Nelle pellicole di questi registi è ben evidente come i fondamenti del pensiero comunista siano la loro principale materia costitutiva: dalle onnipresenti scene di collettività in cui il popolo intero si riunisce, rese mediante un complesso gioco di sovrapposizioni e musica, alle iconiche e tragiche morti impugnando la bandiera rossa, al ricorrente tema dello scontro tra proprietà pubblica e pubblica.Chi si indigna per ciò, asserendo ignorantemente che il Cinema non debba essere politicizzato, ma che anzi debba restare del tutto al di fuori delle questioni politiche riguardanti il Paese, è fautore di un invecchiamento di questa arte, di una sua non progressione e pericoloso rinchiudersi in se stessa. In primo luogo, il Cinema è sempre stato a stretto contatto con la politica, che si parli di film che la trattano esplicitamente come argomento principale (come La Cinese di Godard del 1967, che descrive un gruppo di giovani rivoluzionari maoisti parigini alla vigilia del Sessantotto) o meno. Moltissime pellicole, inoltre, sono state dei veri e propri mezzi di propaganda politica, usate come efficaci strumenti per trasmettere agli spettatori determinati messaggi politici (esempio emblematico La corazzata Potëmkin del Ėjzenštejn del 1925, opera in cinque atti che presenta una rielaborazione a fini narrativi dei fatti storici realmente accaduti e che portarono all’inizio della Rivoluzione Russa del 1925). Ci sono poi addirittura correnti cinematografiche che hanno avuto come ispirazione ideali politici di un determinato schieramento, e che hanno poi utilizzato come elementi fondanti della loro poetica. È il caso della corrente dei fondamentalisti russi, i cui massimi esponenti sono il già citato Ėjzenštejn, Vsevolod Pudovkin (La Madre, 1926), Aleksandr Dovženko (La Terra, 1930), Dziga Vertov (L’uomo con la macchina da presa, 1929).

Come mai ha suscitato dunque così scandalo il fatto che gli Oscar 2017 fossero in parte coinvolti in questioni politiche? Cosa è, in definitiva, quel Cinema del futuro di cui tanto ha discusso Saint-Pol-Roux, se non la sua effettiva totalità, dunque il suo comprendere ogni arte, argomento o tema, senza limitazioni di alcun tipo?

VIOLA DE BLASIO

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