A Selene

Selene,

i pensieri, finché non vengono scritti, sono solo pensieri che si confondono con l’aria appesantita dallo smog di una città fin troppo grande per i nostri piccoli sogni, e quindi entra in gioco la scrittura, e io insieme a lei.

Io non sono nessuno. Cioè, qualcuno sarò sicuramente, però ancora non sono sicura di chi. Forse sono semplicemente una ragazza di diciannove anni che fatica spesso a trovare il proprio posto nel mondo ma che, alla fine, una sedia sulla quale sedersi la trova sempre.

Forse odio il freddo, svegliarmi tardi e non capirci niente, gli esercizi di matematica e mia madre che mi urla di sistemare l’armadio. Odio la musica a basso volume, dormire con le luci accese e cucinare.

Però credo anche di amare la musica, scrivere fino a farmi indolenzire le dita, contemplare un paesaggio e sentirmi così piccola da mancarmi il respiro. Amo viaggiare, anche se lo faccio poco, dipingermi la faccia con centinaia di trucchi e ridere con mio padre davanti un cono gelato esageratamente grande.

Insomma, qualcuno potrei esserlo, però non mi va di saperlo perché metti che poi non andiamo d’accordo, io e questo qui, è la fine.

Anche te non sei nessuno, solamente che hai la scusa di essere così piccola da poter essere riempita di qualcosa ogni giorno che passa. Per ora sei semplicemente Selene.

Ti ho vista, incastrata perfettamente tra le insenature del giovane corpo di tua madre, fare capolino da una copertina rosa come a voler chiedere il permesso di entrare a fare parte di questo mondo, che io ancora non ho ben capito e che quindi non posso spiegarti. Tua mamma ti accarezzava in un modo così naturale e istintivo da farmi venire i brividi, e la vita in quel momento mi sembrava così grande e la morte così piccola e di poca importanza.

Sei nata in una camera che profumava di fiori freschi e lettere consumate da calligrafie allungate ed eleganti, con gli occhi marroni di tua mamma che risaltavano grazie al contrasto con il pallore del suo viso e le mani tremolanti di tuo papà che non la smetteva di guardarti.

Poi c’eravamo noi, che non sapevamo che fare se non restare in un religioso silenzio, come a non voler rovinare quel magico momento che riusciva ad inglobare tutti i presenti in una bolla di sapone pronta a scoppiare da un momento all’altro.

Ti hanno chiamato Selene, che vuol dire luna in greco. A me ha sempre rassicurato, la luna. Soprattutto quando ero piccola e avevo paura dei mostri e del buio che abbracciava la città, la sua luce che filtrava attraverso le tapparelle mi faceva sentire protetta e la notte non mi sembrava più così tanto minacciosa. E poi il greco, che io ho sempre rischiato a fine anno ma che mi ha sempre affascinato con il suo alfabeto particolare.

Io, però, non vorrei darti false speranze su questo mondo che a primo impatto ti sarà parso fin troppo illuminato e rumoroso.

Non sarà facile. Proprio per niente. Ci saranno momenti in cui vorrai sparire dalla faccia della terra, partire e lasciarti tutto dietro alle spalle, reinventarti e non sentirti più sola. Dovrai subire qualche delusione e il conseguente dolore, porte in faccia e rifiuti. Però ci saranno anche momenti, se proprio devo dirla tutta, in cui ti sentirai così felice da far schifo, dove piangerai solamente per aver riso troppo e ti sentirai un tutt’uno con l’ambiente che ti circonda.

Quindi sì, io non sono nessuno, però ho vissuto, fino ad ora, diciannove anni, e forse qualche consiglio posso – e voglio – dartelo.

Vivi. Forte. Tanto. Bene.

Non chiedere il consenso a nessuno per essere chi sei. Ridi, canta, balla, sbaglia, sbaglia di nuovo, impara, correggiti, migliorati, scrivi, suona.

Ama quanto puoi e chi vuoi. Non avere paura a dire “ti amo”, “ti voglio bene”, “resta con me”. Fai di una persona la tua casa e arredala a tuo piacimento. Studia, insegui i tuoi sogni, e vola.

Perché, Selene, se c’è una cosa che ho capito in diciannove anni, è questa: è sempre il tempo di volare.

ALESSANDRA CASCIELLO

 

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