Un resoconto passivo aggressivo della cogestione 2017

La programmazione di una cogestione è sempre il prodotto, inconscio o meno, di un’osservazione; è la necessità di trovare una risposta alla domanda che, in un momento storico e socio-culturale come quello contemporaneo, chiunque sia anche solo sfiorato dall’apparato scolastico deve porsi: è possibile trasmettere, il desiderio? Circoscrivo il carattere temporale in quanto ritengo che l’eclissi del desiderio sia la malattia del nostro tempo, la perturbazione del cielo moderno. C’è una difficoltà effettiva ad accendere l’interruttore della curiosità, a cui conseguono naturalmente la voglia, l’impulso di sognare, paradossalmente soprattutto fra i giovani, che dovrebbero vivere in un sabato perenne (parafrasando il buon Leopardi).

La scuola, purtroppo, non è d’aiuto per quanto riguarda il ripristino del circuito elettrico attraverso il quale gli elettroni della conoscenza dovrebbero muoversi, in quanto sta diventando sempre più succube di leggi anonime, burocratiche, di programmi, valutazioni e quantificazioni, provocando in questo modo un progressivo annullamento del pensiero critico, rendendoci tutti uniformi e conformi.

Eppure vibrante rimane, nel sistema dell’istruzione, l’equazione per cui “formazione = relazioni”; nessuno, in questa seppur sempre più grigia istituzione, riesce a darsi forma se non grazie all’altro.

Questo è stato il nostro obbiettivo, quello di almeno agevolare l’urto fra individui; di rendere ‘erotico’, platonicamente parlando, e violento l’approccio fra studenti e professori, componenti della scuola e rappresentanti del mondo circostante. Abbiamo tentato di far passare un minimo spiraglio di luce attraverso quel ginepraio opaco che è il monotono nozionismo, in certi casi asettico, inumano, che logora alunni e professori.

La domanda che bisogna porsi e che, come una falena, sbatte contro la lampadina nel mio cranio è “siamo riusciti ad accendere il desiderio? Siamo riusciti a dis-alienare i ragazzi, scissi tra il loro essere studenti e il loro essere se stessi?”. La risposta che mi sono data è contraddittoria: da un certo punto di vista presumo che noi rappresentanti, in collaborazione sia con i nostri coetanei che con  professori e genitori, siamo riusciti a stilare un programma organico, in cui i giorni erano un susseguirsi di incontri, conferenze e lezioni interessanti, spesso concilianti con l’indirizzo del nostro liceo; dall’altra questi presupposti raramente hanno scaturito l’effetto desiderato, raramente la fiammella del desiderio si è accesa nei petti dei nostri compagni, a causa di una scarsa partecipazione e attenzione. Ci prendiamo in gran parte la responsabilità della mancata riuscita la che poteva essere evitata magari mediante una minor durata del periodo di didattica alternativa o un miglior servizio d’ordine.

Concludo sperando che gli sforzi non siano stati vani, che qualche compagno, ascoltando Cosimo Rega o Massimo Pradella, recitando con Maria Elena Carosella o dipingendo con Giancarlino Corcos, possa aver iniziato a desiderare, a sperare.

ELENA PERIN

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