Rodrigo Duterte: terrore a Manila

Un primo piano sul sanguinario presidente delle Filippine

Il panorama della politica orientale si è arricchito di un ulteriore personaggio controverso e contraddittorio: il presidente delle Filippine Rodrigo Roa Duterte, (detto Il Punitore da Time Magazine). Eletto il 30 giugno dell’anno passato Rody era stato sindaco di Davao in un arco di tempo che va dal 1988 al 2016 lasciando la carica solo per 3 anni per fare da vice alla figlia Sara (quando si dice “figlia di papà”…), durante il suo governo a Davao fin da subito ha utilizzato una politica di  “guerra alla droga”, istituendo i così detti “squadroni della morte” che hanno creato il panico a Manila e montagne di morti negli angoli delle strade. Ma d’altronde lui stesso ha detto in un vertice anti-criminalità a Manila: “l’unica soluzione sicura contro i traffici illegali è l’esecuzione sommaria dei criminali sospettati”. Tutto questo potrebbe avere qualche senso se nelle Filippine ci fosse una quantità industriale di super-drogati, ma come ci dimostrano tutti i dati più aggiornati solo il 2% scarso dei filippini fa regolarmente uso di sostanze illegali; infatti, come si è scoperto dalle numerose interviste a familiari e conoscenti delle vittime riportate dalla stampa, a fare le spese di questa politica sono stati, per esempio, un gran numero di ragazzini che a una festa si erano fumacchiati una cannetta, e questo fa sicuramente riflettere: è molto strano che un leader socialista organizzi delle bande che vanno in moto per la città ad uccidere i ragazzini che per una volta avevano fatto uso di queste sostanze inoltre il leader filippino è giunto ad ammettere di aver ucciso 3 sospettati per dare l’esempio alla “polizia”: se ci era riuscito lui,  perché non ci sarebbero dovuti riuscire dei giovani mercenari motociclisti come quelli che si vedono nei film americani? Si potrebbe addirittura arrivare a pensare a una strumentalizzazione di questa lotta al crimine al fine di mascherare uccisioni di oppositori politici, e a suggerirci tali conclusioni sarebbe anche il metodo al quanto discutibile di eseguire le sue condanne, ovvero quello di buttare i sospettati in acqua dagli elicotteri, come per trasformarli in “desaparecidos”. Queste sue azioni crude e violente lo hanno posto in contrasto con gran parte della comunità internazionale, come testimoniano gli epiteti volgari e violenti rivolti a personaggi illustri quali Papa Francesco e Barack Obama. Contro di lui si sono mosse le associazioni per i diritti umani che giustamente denunciano tali barbarie. Su di un altro fronte Rody ha suscitato anche la reazione della chiesa in risposta a iniziative come la diffusione di preservativi alle ragazze filippine (volta al controllo delle nascite) e l’accettazione degli omosessuali in tutta la nazione tranne che nella regione musulmana, che fa capo a Marawi. “L’Hitler delle filippine” (come si è definito il grande socialista), per via delle sue azioni e della spocchia che lo contraddistingue sta rendendo difficili i rapporti con gli amici di sempre, gli USA, facendo ipotizzare un improbabile divorzio con la popolazione stars and stripes guidata dal neo presidente repubblicano, aprendo amicizie con i comunisti cinesi e con la Russia del tanto discusso Putin. In definitiva un’altra gatta da pelare per l’ONU, e una pericolosa mina vagante nello scacchiere orientale.

ANDREA DE STEFANO

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