Buio.

Buio. Immenso, impenetrabile, palpabile Buio.

A questo si è ridotta la mia vita: a un caos che tutto ingoia dentro di sé, dove ogni passo potrebbe essere quello giusto, ma con tutta probabilità è quello sbagliato. Dopo tutto ciò che è successo con M***, credevo che mai sarei caduta più in basso, che mai più avrei preso una tale cantonata. Ma quando si è al buio, fare previsioni è impossibile: tutto può accadere, perché tutto è incerto, e ogni pericolo, per innocuo che possa sembrare quando ci è concessa la facoltà della vista, diventa grande e ineludibile oltre ogni immaginazione quando ci è celato da una coltre nera.

È questo ciò che è successo con P***: un pericolo evidente, che pure è sfuggito alla mia percezione. Io sfiancata da una relazione che, probabilmente, è esistita solo nella mia testa, lui empatico oltre i limiti del buonsenso, e pronto ad accogliere i miei lamenti. Speravo di essermi innamorata ancora. Ne ero convinta. Lo sono ancora: risolutamente convinta, e tragicamente innamorata. Eppure era così evidente: i segnali c’erano tutti. La sua gentilezza, il suo disinteresse, i suoi consigli sinceri; non è come gli altri, continuavo a ripetermi. Lui è diverso. Migliore. Ha buon gusto, è intelligente, e non guarda il culo di quella troietta di L***. Avrei dovuto capirlo. Avrei dovuto capirlo anche quando mi parlava di quel suo amico che aveva conosciuto a Dublino, da come descriveva i suoi capelli, rossi e ricci, e il suo viso costellato di lentiggini. Avrei dovuto capirlo quando mi disse, con un sorriso tanto luminoso stampato sul volto quanto mai lo avevo visto prima, che sarebbe venuto a trovarlo a breve. Avrei dovuto capirlo quando me lo presentò, dagli sguardi di complice intesa che si scambiavano quando erano assieme. E invece lo capii solo quando, insieme, lo riaccompagnammo in aeroporto, quando, ormai prossimi a separarsi, si abbracciarono un’ultima volta, e si scambiarono un ultimo bacio pieno di passione, fra le lacrime di un duro, eppure tanto dolce, addio.

Mi sono sempre sforzata di trarre un insegnamento da ciò che mi capita, siano esse storie belle o – soprattutto – brutte. Ma questa volta proprio non so cosa pensare. Forse l’insegnamento che posso trarne è che, in fondo, nonostante tutte le illusioni che ci costringiamo a creare e a crearci l’un l’altro per lenire anche solo per una settimana il tormento di un’esistenza vacua e senza scopo, siamo irrimediabilmente, irriducibilmente e insostenibilmente soli. Io ho perso prima M*** e poi P***. P*** ha perso il suo bell’irlandese, e sono pronta a scommettere che anche M*** non se la stia passando bene. O forse, per una volta, non c’è proprio niente da imparare. E, forse, questa è, se non la migliore, quanto meno la più importante lezione che abbia mai imparato.

SISIFO

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