Letterina di Natale

Caro Babbo Natale,

sono sempre io, è inutile chi ti dica chi, ti scrivo tutti gli anni e se mai ti capitasse di leggere le letterine che noi tutti ti mandiamo mi riconosceresti subito da come scrivo. Ti scrivo come ogni anno per chiederti i doni di Natale, poi come al solito fai di testa tua, quindi le cose sono due: o non ti frega niente di quello che ti scrivo, oppure devi assumere qualche elfo in più affinché ti dia una mano per fare ordine. Quest’anno, caro il mio Babbo, è diverso. Per farti comprendere di più devo aggiornarti su ciò che è successo. Finalmente, dopo mesi che organizzavo l’evento, ho parlato con Sofia. Non immagini cos’è successo! Io l’ho salutata come fanno tutti e lei mi ha salutato, ma non come si saluta un barbone con il cappotto invernale ad agosto sdraiato sul suo comodo talamo condiviso con le pulci, bensì con un sorriso! Bene, dopo questo epocale momento sono fuggito via ed a scuola non sono più rientrato per tre giorni. Troppe gioie insieme. Rientrato a scuola, vista da lontano isolata da quegli avvoltoi con trucchi e capelli piastrati pronti a fare di me carne da chiacchiericcio, sono tornato da lei con un sorriso così grande che tra poco la faccia non mi bastava. Le ho chiesto se avesse voluto uscire con me uno di questi giorni. Babbo, hai visto il mio congiuntivo perfetto? Solo per essermi impegnato in quello mi dovresti dare una macchina oltre al regalo d’obbligo. Ma tornando a me, sai cos’ha risposto? Mi ha detto di sì! Subito dopo ho chiuso gli occhi per un attimo e quando li ho riaperti ho visto mia madre tutta preoccupata: ero svenuto con il sorriso stampato in faccia e mi avevano portato al pronto soccorso. Tornato a scuola dopo una settimana, nella quale ho ripreso le forze e guardato una serie infinita di film drammatici affinché mi si levasse il sorriso in faccia, l’ho avvistata nel famigerato cortile della scuola, zona di guerra, giungla senza regole. In un momento di caos furioso, causato dal suono della campanella, sono riuscito a chiederle se ci eravamo messi d’accordo per un giorno e lei mi ha risposto che il prossimo sabato era libera e che saremmo potuti uscire insieme. Quando me lo ha detto le mie gambe hanno ceduto, l’ho persa nella folla, faccia spalmata duramente sullo scalino di fronte, la gente che mi passava sopra per fuggire dalla rampa di scale. Mi sono sentito come Mufasa travolto dagli gnu, ma ero felice. Sai chi è Mufasa, il leone per eccellenza vero? Va beh, te lo dico. Hai presente Simba, il re leone? È il padre. Un esempio più alla tua portata che capisco sia complicato per quelli di una certa età che non vivono a contatto con i bambini seguirmi. Hai presente Gesù, quello che poi si farà chiamare il Re dei re? Gesù è Simba. Hai presente Dio, suo padre? Dio è Mufasa. Comunque, nonostante il dolore fosse lancinante e che il giorno dopo dovetti tornare con le stampelle a scuola e con qualche fascia in giro per il corpo, ero felice. Ho saputo che lei spesso va al centro anziani a fare varie attività. Insomma, le piacciono i vecchi, così ho avuto il colpo di genio: la porterò a conoscere mio nonno. Così sabato, usciti da scuola, siamo andati da mio nonno. Lei era un po’ imbarazzata, ma io non capivo il tanto imbarazzo. Sì, lo so che il nonno può sembrare una persona difficile, ma non pensavo potesse turbare tanto. Forse non è stata la mossa giusta passare una giornata tutti e tre insieme. Eppure non capisco, le piace tanto stare con i vecchi! Certo, non poteva fare troppe attività perché in un cimitero non si può giocare a tombola per esempio, ma il nonno sta lì ormai da tre anni, come potevo farli incontrare? Dopo più o meno 40 minuti, Sofia mi ha confessato di sentire il peso di un silenzio troppo anormale per un appuntamento, che si sentiva in imbarazzo con le persone che piangevano i loro cari vicino, così mi ha dato un bacetto sulla guancia e mi ha detto che quello era l’unica cosa che ci sarebbe stata fra noi. Io non le dissi mai niente perché per tre volte che ho aperto la bocca per poco non ci rimanevo secco. Detto ciò, se ne andò, o così mi raccontarono. E sì, perché io intanto ero cascato su una lapide come l’angelo piangente con una faccia così rossa che una volta ripresa conoscenza all’ospedale mi misurarono la febbre tre volte per assicurarsi che stessi bene. Detto tutto questo, caro Babbo, ti posso dire ciò io voglio. Per questo Magico Natale, o Natale caro, vorrei che per la prossima ragazza che mi dovesse piacere non sia così doloroso chiederle di uscire e che almeno, se proprio devo rompermi qualcosa, non mi dia solo un bacetto sulla guancia, ma che per una settimana, se non mi vuole come il suo ragazzo, mi passi i compiti per casa, così potrò prepararmi alla prossima ragazza invece di fare i compiti.

Un bacio grandissimo dal tuo preferito

P.S. Spero tu non abbia subito dolori lancinanti per stare con la befana. Se li avessi dovuti avere, mi mostreresti la tua comprensione con una sufficienza a scuola? Grazie, e Buon Natale.

LORENZO BITETTI

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