“Didone, per esempio” – Quando i classici diventano irriverenti

L’antichità classica è quella roba antica con cui noi, classicisti disperati, abbiamo a che fare ogni giorno, anche più di quanto vorremmo. È quel qualcosa che, nonostante il grande amore che nutriamo nei suoi confronti (tale da aver scelto un liceo come il nostro), anche solo a nominarlo, subito richiama alla mente dei più le immagini di vecchi antri di musei, teche piene di reperti chiusi lì dentro a prendere polvere da chissà quanto tempo, busti che ti guardano con un’aria arcigna e talvolta piuttosto indagatoria. È, insomma, quell’insieme di storie e di nomi troppo lunghi e astrusi da ricordare, che tendiamo a chiudere nella soffitta del nostro cervello, nei meandri più remoti della nostra mente. Ed è proprio di questo che Mariangela Galatea Vaglio si ostina a parlare, raccontando di busti polverosi con la stessa curiosità morbosa ed il tono da pettegolezzo che si userebbe ora chiacchierando di gossip dal parrucchiere, mentre si aspetta la fine della messa in piega.

Di Didone, per esempio, potente, affascinante, intelligente, con il brutto vizio, però, del complesso della crocerossina; proprio lei, che avrebbe potuto avere ai suoi piedi regni e mariti, perde invece la testa dietro un uomo vacuo come Enea (“un uomo che c’è, ma non c’è mai, o almeno non del tutto”), tentando di aiutarlo a salvarsi da se stesso. Mentre Enea sta lì, che si crogiola nel suo dolore, con uno sguardo quasi di rimprovero nei confronti della donna, perché Didone non lo lascia essere infelice in santa pace, ma anzi si affanna per farlo sentire a casa.

Di Elena di Sparta (“perché di Troia non si dice”), talmente bella da far perdere la testa a tutti gli uomini, che per lei lasciano mogli e patrie e si lanciano in guerre pretestuose. Cosa pensi lei, però, non si è mai saputo, perché da parte sua non una parola, non un gesto che spieghi il disastro che lei e Paride hanno causato; no, Elena rimane impassibile, sempre così distaccata dal mondo da sembrare indifferente a tutto. “Non si sa, in effetti, è la chiave di lettura nella vita di Elena. Non si sa proprio. Non si sa mai. […] Sembra una di quelle femmine che nell’essere un grazioso soprammobile trovano la loro ragione di vita. Decorano. La casa, la sala delle udienze. […] Elena è un’apparizione, vive appagata dall’adorazione che legge negli occhi degli altri quando si degna di apparire”.

Dissacranti e impertinenti appaiono i ritratti dei personaggi: Ulisse, il re contadino che voleva scoprire il mondo; Calpurnia, la moglie perfetta; Messalina, la Paris Hilton dell’antichità; ma anche Cicerone, l’avvocato ambizioso che mai riuscì a farsi re; Cesare, che, oltre al potere, possedeva la testa del condottiero e l’occhio del giornalista; e ancora Lesbia, Bruto, Marco Antonio, Vespasiano, Temistocle…

“Didone, per esempio” racconta le storie degli uomini dell’antichità greco-romana e delle donne che, più o meno silenziosamente, sono state al loro fianco. Con un’insolita irriverenza distrugge i noiosi miti che nel tempo si sono venuti a creare, generandone di nuovi, con diverse interpretazioni, sicuramente più attuali e coinvolgenti.

CHIARA CATALDI

 

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