Chine Town

Il primo tasto viene colpito dal dito dell’artista, ma non fa in tempo la nota ad uscire che subito l’orecchio è preso da incanto. Leggera scorre la melodia, scende dolcemente e risorge lentamente. La voce smuove l’incanto di quelle note ed un viaggio interno ha inizio.

La mia anima mi parla: “Il cuore con la sua fede non mi ha resa ciò che sono”. Tanta è la forza di tale essenza che le mie dita, guidate dalla mano sotto il giogo del polso ausiliato dal braccio, vengono portate a raccontare il mio amore ed il mio cuore, le mie gioie e le mie perdite. Oh futili gioie del disperso uomo, voi, che annullate la mente e confondete il corpo di chi non lo vuole, non avete potere su di me. Un fantasma del passato torna a me, mi attraversa da dietro per poi porsi davanti a me, di spalle, per farmi compagnia in questa dolce prigionia. Anch’egli si siede sullo scrittoio e scrive ciò che il suo cuore gli suggerisce. Oh lume del passato, tanta è la gioia di cui mi riempi vedendoti seguire il mio stesso gesto sotto il mio stesso incantesimo, che i brividi attaccano la mia pelle e del corpo non son più il padrone. Il vecchio genio si gira, mi guarda, fa un piccolo ghigno e poi scorre, inizio di un fiume di spiriti magni che vedo saettare intorno a me, tutti dalla stessa fonte alle mie spalle, tutti destinati alla metà davanti il mio orizzonte.

Tale visione ha fatto di me una sibilla invasata di divinazione. Nessun Ippocrate mi potrebbe salvare se non la stessa causa del mio furore. Nessun scienziato o esperto della mente saprebbe aiutarmi. Un foglio bianco è l’infinito di cui ho bisogno. La vastità del foglio si macchia ed il mio occhio diventa quello di un albatro, che vola intorno gli alberi di un vecchio vascello.

Tale immagine mi è tanto chiara davanti gli occhi e la ragione non si chiede nemmeno come io possa essere soggetto ed oggetto del mio osservare. Troppo sublime è il sentimento che prende il comando del mio corpo.

Ma la mia mano è avara, non le basta un punto e la mia mente, come una lupa, chiede un nuovo mondo dove andare, un nuovo infinito dove perdersi, un nuovo pellegrinaggio che renda la mia anima ciò che la sua natura le richiede. Non vi sono confini nel nuovo mondo, le montagne, i mari, le valli mi scorrono intorno.  Sento l’odore dell’erba, mentre un vento montano mi protegge dalla calura del sole ed i miei piedi sono bagnati da onde d’acqua senza limiti. Non ho niente con me, se non ciò che mi uccide di desiderio e che mi soddisfa. La mia mano, che ormai non posso sperare di comandare, non si ferma e corre senza sosta come se qualcuno la tagliasse anche solo in un piccolo riposo. Continua a scrivere ed a riportare tanti sentimenti che ruotano intorno a me in un turbine indistinto, violento e di una bellezza irraggiungibile. Sublime è il solo aggettivo degno di riportare la natura di tale vortice.

L’inchiostro. Finalmente lo sento dentro di me, mi scorre nelle vene e fa parte di me. È padrone di me ed io di lui. Insieme, come un corpo solo, andiamo oltre la fantasia, oltre ogni confine della mente, senza che le demoniache pecunie umane consentano tanta elevazione. Arrivo alla meta di tutte le anime che mi hanno introdotto a ciò. Chine Town trasferisce in me tutti i più forti sentimenti. Sono nella Mecca, dove tutti i musulmani sono una sola persona insieme con il loro Dio. Sono nel Gange, dove le acque del fiume trasportano con sé i pesanti dolori degli indù. Sono nella Terra Santa, dove gli ebrei stanno nella loro casa, disegnata da Dio stesso, il dono di Dio all’uomo. Sono in una landa sacra, dove la meraviglia mi è padrona come un bambino che esplora il mondo in cui si trova. I sacerdoti che io seguo lavorano qui le loro belle lettere, danno vita a quell’inchiostro che senza alcun suono affila le sue frasi piene di voce sia di oratori che di muti. Un battere veloce, discontinuo, caratterizza l’evoluzione di quest’arte che, non lontano dai sacri sacerdoti, si fa sentire per mano di lesti scrittori con opere veloci quanto il tempo, sempre nuove e subito vecchie. Oh, poveri voi, uomini senza sazietà, che cercate le vostre gioie con fumi neri e canne assassine. È un vizio, il vostro, quello di utilizzare le armi sbagliate. In questa valle, il papiro insieme alla pergamena viene steso ed il gesto riporta alla luce spiriti comuni, non eccelsi, senza nome, ma capaci di condurre nel tempo le loro parole. Dall’antico Egitto corrono i loro scritti senza nessuna barriera temporale. La mia mano continua a scrivere senza mai fermarsi un testo che non parla, ma dice chiaramente ciò che il mio spirito grida. Il mio occhio si abbassa per vedere il foglio dove scorre la mia mano e mi perdo in un mare d’inchiostro che mi avvolge nel suo nero.

Esso mi avvolge come una marea e mi sento disperso in questo oceano, come gli esploratori sono dispersi senza avvistare nuove terre all’orizzonte, ma solo un vasto mare mi circonda, senza limiti, che da toccarmi dolcemente i piedi è tornato per affogarmi nella sua immensità. Vado avanti, non mi arrendo. Non può finire così. Da solo continuo senza sosta. I bisogni umani non mi sono più d’ostacolo, la pancia è già sazia, non posso fermare qui questa mia ricerca. Corre veloce la mina della punta. Gira veloce e tanto velocemente esce dietro di sé la striscia nera che dà forma a questa mia ricerca. La penna corre sulla pergamena. Veloci vanno gli arti nell’oceano. Colombo, vai tu in America, a me non importano le terre emerse, io sono diretto a Chine Town, solo quella è la mia meta. Cerco disperatamente le montagne, le valli. Dove sono i miei quaderni, le mie carte? L’inchiostro mi scorre dentro, ma ne sono talmente circondato che non capisco se sta uscendo da me o ne scorre di nuovo per la mia mano. Tanto è l’oggetto desiderato che la felicità mi sta opprimendo.

Mi fermo. Non posso combatterlo. Alzo la mia mano al cielo e vedo il nero scorrermi sul braccio. È lui che ha dato voce alle mie parole. È lui che ha dato un senso al mio spirito. È lui che mi ha dato un volto. La riflessione mi allontana da me. Vedo lo studio, la scrivania vuota, al buio. Lascio tutto immobile. Vedo tutto dal finestrino, fermo, in silenzio ed aspetto. Come un vecchio film, muto osservo un mondo in bianco e nero senza sentire, ma solo vedere. Così arrivo al limite di quell’infinito foglio, arrivo alla realtà. C’è una penna senza mano accanto al foglio. Sento il vuoto. La natura in silenzio mi riporta alla vita umana. Ma lo sguardo cade sul foglio e la mente si lascia scivolare dolcemente in un bel ricordo di ciò che ha vissuto. Un’ultima visione, oh voce narratrice, mi dai delle belle valli lontane. L’inchiostro esce fuori dalle mie vene. Sono felice senza avere ottenuto niente di materiale, senza aver dovuto comprare niente dagli uomini. Dolce melodia, torni come segno della mia nuova pace. E come ninna nanna io ti accolgo nelle mie orecchie, per trovare quella pace che solo le tue note mi hanno saputo dare. Tale è stata la tua musica che l’Assoluto io ho potute godere, vivere nelle sue forme più forti, fra suoni ed immagini dentro di me. Grazie, piccola melodia, porta il mio ringraziamento al tuo genio, poiché se lui non ti avesse intuita e creata, oggi io non potrei amarti. Grazie, Chine Town. Grazie, Caparezza.

LORENZO BITETTI

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