21 giorni a Natale

La data del referendum si avvicina sempre di più e i dibattiti sulla riforma si fanno sempre più accesi. Ma in cosa consiste effettivamente? Cosa si propone di cambiare? E quali saranno le conseguenze?

È il 26 settembre e Matteo Renzi rende pubblica la data ufficiale stabilita dal Consiglio dei Ministri: 4 dicembre. Quello sarà il giorno in cui tutti gli italiani saranno chiamati a mettere una crocetta pesantissima per il futuro, nonché il giorno in cui non tutti gli italiani risponderanno, come c’è da aspettarsi. Del resto, chi si staccherebbe dal termosifone per votare, con quel freddo? Meno male che non è necessaria la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto… Scherzi a parte, il consiglio a tutti i maggiorenni è di andare assolutamente a votare. Informatevi, fatevi una vostra opinione e mettete una croce, ma non lasciate scheda bianca per nessuna ragione: finché gli italiani lo faranno in massa e in modo così sistematico non si va da nessuna parte.

Ora veniamo al dunque. Anzitutto, perché l’esigenza di cambiare la Costituzione? Non che si sia palesata adesso, perché come ricorderete c’è sempre stata una certa spinta verso una riforma ampia e profonda: fin dal 1963 la Costituzione è stata soggetta a riforme più o meno sostanziali, tra cui quella del 2001, proposta dall’Ulivo e approvata dal 64% dei votanti, e quel progetto di riforma del 2006 che, al contrario, si è visto respinto col 63% dei No. Sto parlando delle prime due riforme sottoposte a referendum costituzionale nella storia della nostra Repubblica; a dicembre saremo quindi chiamati in causa per la terza volta, e stavolta come mai prima d’ora quella crocetta dovrà essere pensata, ragionata, informata.

Quindi, se è vero che la nostra Costituzione è ancora arretrata sotto alcuni aspetti, ecco spiegata l’urgenza di modificarla e farla stare al passo con i tempi. Non sta certo a me dire se sia legittimo – o lecito, o giusto, o quello che volete – o meno maneggiare un testo come questo né sentenziare come debba essere fatto, ma se ho una certezza è che la nostra Repubblica ha settant’anni. Quante cose sono cambiate da allora? Tutto? Nulla? Lascio a voi le vostre conclusioni.

Dicevamo, la riforma Renzi-Boschi: interessa una quarantina di articoli del testo costituzionale attuale compresi fra il 55 e il 138 (la parte riguardante il Parlamento in tutti i suoi aspetti). Come saprete, si incentra in primis sulle “disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario”, ossia, in altre parole, il Senato della Repubblica sarà ridotto a organo di amministrazione del sistema politico locale e “di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica” (parole testuali della modifica dell’art. 55). Di conseguenza, i senatori diventeranno solo cento – contro gli attuali 320 – di cui 95 scelti dalle Regioni e i restanti cinque dal Capo dello Stato e alle elezioni politiche non si voterà più per eleggere i rappresentanti al Senato ma solo alla Camera dei Deputati. In ogni caso, i senatori a vita resteranno in

carica e gli ex presidenti della Repubblica continueranno ad avere diritto al posto in Senato; resterà anche l’immunità parlamentare per loro, ma non avranno più diritto a un’indennità aggiuntiva (cioè un secondo stipendio, di fatto, ricevuto dallo Stato). Cambieranno anche le modalità di elezione del Presidente della Repubblica, che sarà eletto dalle sole Camere in seduta comune in quattro scrutini, e la sua autorità sul Parlamento: potrà sciogliere s2013-01-senato-ansa1olo la Camera e non più il Senato. Inoltre, in sua assenza sarà il Presidente della Camera, e non più quello del Senato, a farne le veci.

L’effetto più immediato di queste modifiche è che le camere resteranno comunque due, ma la Camera dei Deputati avrà pieni poteri (salvo poche eccezioni) legislativi e sarà il solo organo parlamentare a gestire il sistema politico centrale, ossia l’Italia come Stato nel suo insieme, e soprattutto i deputati saranno gli unici a votare le proposte di legge. Le singole regioni e autonomie locali saranno invece amministrate e rappresentate dal Senato, che comunque sarà ancora tenuto a votare i ddl in casi particolari. In conclusione, l’iter di approvazione delle leggi ritenute importanti per il programma politico del governo sarà drasticamente abbreviato, le autonomie locali avranno una propria rappresentanza parlamentare e, grazie alla riduzione del numero di senatori e alla soppressione delle indennità, i costi della politica scenderanno. Da tenere presente anche un altro fattore, sottolineato da Francesco Clementi, professore di Diritto Comparato all’Università di Perugia: ora che il voto di fiducia al governo non sarà più eseguito da entrambe le Camere, non si rischierà più di avere due maggioranze diverse (una in Senato e una alla Camera).

Il popolo, in ogni caso, non starà a guardare e ci verranno date nuove possibilità sulle proposte popolari di legge. Per presentare una proposta di legge di iniziativa popolare serviranno 150.000 firme (contro le attuali 50.000) più il testo della legge redatto in articoli, ma soprattutto verrà introdotta la garanzia costituzionale, oggi assente, che la proposta sarà discussa e votata in Parlamento. I referendum abrogativi, invece, richiederanno sempre la maggioranza assoluta (50% più uno) degli aventi diritto per rendere valido il voto, ma il quorum si abbasserà alla maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera se a richiedere il referendum sono 800.000 elettori (contro gli attuali 500.000).

Un’altra questione che tiene banco nel testo della riforma è la totale abolizione delle province: la riscrittura dell’art. 114 spiega esplicitamente che la Repubblica sarà costituita “dallo Stato, dalle Regioni, dalle Città metropolitane e dai Comuni”. Niente più province, quindi, e il loro posto sarà preso da dieci città metropolitane, ossia aree sotto la giurisdizione di città con oltre un milione di abitanti (Roma, Torino, Milano, Palermo…). Lo scopo di questa manovra è il superamento dell’enorme frammentazione delle autonomie locali e ovviamente la conseguente riduzione dei costi di mantenimento e gestione di tutti gli apparati delle province – compreso il personale di queste istituzioni, che spesso percepisce stipendi non indifferenti… Oltre ai risparmi e alla maggior facilità di gestione, va ricordato che anche le nuove città metropolitane avranno finalmente una rappresentanza parlamentare ufficiale in Senato. Traduco: regioni, città metropolitane e comuni saranno più vicine allo Stato centrale e la cooperazione sarà più stretta. Altro cambiamento è l’abolizione dell’attuale CNEL (Consiglio Nazionale Economia e Lavoro), un organo consultivo che dà pareri al Parlamento in questioni, appunto, di lavoro ed economia. I suoi pareri non sono però vincolanti e vengono dati solo se richiesti da una delle Camere. Organo inutile? Probabilmente sì, secondo la ministra Boschi, se ha deciso di sopprimerlo.

Ora che abbiamo esaminato gli aspetti tecnici ed effettivi delle conseguenze di questa riforma, passiamo a un argomento più delicato: l’opinione dei politici e, ovviamente, quella pubblica. Vi ricordo che se ne è parlato anche qui a scuola du14729159_1157061484363535_1512916663280021162_nrante l’assemblea d’istituto dello scorso 24 ottobre, in cui gli ospiti Tommaso Sasso della Sinistra Italiana e Mattia Zunino dei Giovani Democratici hanno esposto le loro ragioni rispettivamente per il No e per il , con successivo dibattito e domande. Le ragioni del primo, ma in generale quelle portate avanti da tutti i politici, giornalisti e vari altri (vedremo in seguito qualche nome) contrari alla riforma, prendono le mosse da una premessa di base: perché riformare proprio adesso la Costituzione, visti e considerati tutti gli altri problemi che abbiamo in Italia? Per una maggior velocità di approvazione delle leggi e per evitare l’eterno ping-pong fra Camera e Senato (a proposito, avete visto la nuova pubblicità del #BastaunSI)? In realtà, spiega Sasso, i nostri tempi di approvazione delle leggi sarebbero perfettamente in linea con la media europea. Abbiamo un solo problema: facciamo troppe leggi. E sarebbe questo a rallentare incredibilmente la macchina legislativa italiana, nonché a dare alla Corte Costituzionale una notevole mole di lavoro per revisionare leggi che potrebbero essere incostituzionali.
Questa riforma, quindi, non solo sarebbe un modo per sviare l’attenzione da quelli che sono i veri problemi dell’Italia (l’immigrazione, la burocrazia tanto odiata da Renzi, la crisi…), ma di fatto legittimerebbe un accentramento del potere pressoché totale nelle mani della Camera, che diventerebbe una sorta di organo oligarchico e perfettamente protetto dalla Costituzione, manipolata a piacimento dei deputati. Traduco: la Camera si prende tutto il potere, depotenzia il Senato ed è legittimata a farlo dalla Costituzione che lei stessa ha modificato. Per giunta, non è vero che le istituzioni funzionerebbero meglio e che le regioni sarebbero rappresentate degnamente in Parlamento; in realtà i consiglieri regionali eletti a senatori non farebbero che l’interesse dei partiti da cui provengono, continua Sasso, e la maggioranza alla Camera spadroneggerebbe senza più un’opposizione in grado di contenerla. Come? Beh, provate a leggere gli articoli 70 e 117 attualmente in vigore e a confrontarli con quelli modificati dal Ministro per le Riforme costituzionali Maria Elena Boschi (su Internet troverete tutto il testo della modifica con gli articoli vigenti e quelli modificati a fronte). Per quanto riguarda il primo, nella Costituzione attuale è un unico comma di due righe: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”, ossia Camera e Senato hanno la stessa importanza e le stesse funzioni a livello legislativo. La modifica lo porta alla bellezza di 79 (settantanove!) righe per spiegare la divisione dei ruoli fra le due Camere. E l’articolo non è concluso in sé stesso, visti i numerosi rimandi all’art.71 contenuti nel testo modificato.

Discorso un po’ più delicato per il famoso art.117, che sancisce le distinzioni di competenze tra lo Stato centrale e le Regioni, elencando tutte gli oneri esclusivi delle Camere – quindi, per esclusione, i restanti aspetti come l’ordinamento scolastico e l’amministrazione della sanità pubblica saranno alla discrezione delle Regioni. Com’è naturale, è già piuttosto lungo di per sé, e la modifica lo allunga ulteriormente nell’ottica di un aumento delle competenze esclusive del sistema politico centrale. Ora è obiettivamente difficile essere sempre chiarissimi quando si scrivono testi così lunghi, specie nel linguaggio giuridico in cui ogni singola parola ha il suo peso e potrebbe essere interpretata in moltissimi modi. Perciò invito tutti a considerare tutte le informazioni che vi sto dando e a riflettere, traendo una conclusione ben ragionata.

I principali personaggi politici e mediatici contrari alla riforma penso li conosciate: spiccano le figure di Matteo Salvini, Beppe Grillo (seguito da Di Battista e Di Maio), Massimo D’Alema, parte del PD stesso tra cui Bersani e, dulcis in fundo, Silvio Berlusconi e il suo partito Forza Italia (che tra le sue fila annovera le varie Giorgia Meloni e Mara Carfagna). Non mancano anche giornalisti come Ferruccio De Bortoli, ex direttore del Corriere della Sera, e ovviamente Marco Travaglio, che ha affrontato Renzi in persona nella trasmissione 8 e mezzo lo scorso 26 settembre e che ha parlato espressamente di una riforma “scritta con i piedi”, insistendo particolarmente sulla lunghezza a volte spropositata del nuovo testo costituzionale. Questo il blocco del No, che boccia in tronco la riforma – salvo per un punto: pare che l’abolizione del CNEL metta praticamente tutti d’accordo, nelle varie declinazioni di chi non vorrebbe affatto riformare la Costituzione (i cosiddetti conservatori radicali) e chi la riformerebbe, sì, ma in un altro modo.

Risponde compatto il fronte del formato dal premier e dai suoi fedelissimi come la stessa Boschi e Angelino Alfano. A sorpresa figura fra questi anche Roberto Benigni, in precedenza assolutamente contrario (parlava della “Costituzione più bella del mondo”, ricordate?) ma ora diventato favorevole, al punto da comparire in una breve pubblicità a favore delle modifiche in questione. Volete sapere come l’hanno presa quelli contrari? Date un’occhiata alle pagine Facebook dei “grillini” e leggerete una critica spietata a Benigni: “perché La vita è bella, ma con 600.000 euro lo è ancora di più!” scrivono in riferimento al compenso che il comico toscano ha ricevuto per pubblicizzare il . In realtà, allo stato attuale, i sondaggi danno il No in leggero vantaggio, ma il testa a testa resterà strettissimo fino al gran giorno e i numeri sono i continuo cambiamento. Del resto, alla fine saranno le urne a decidere.

Ora che avete tutte le informazioni potrete prendere la vostra decisione con cognizione di causa. Io ho preso la mia, ma resto imparziale per non influire sulla vostra. A voi maggiorenni dico solo questo: il 4 dicembre andate tutti a votare, che sia per una scelta o per l’altra, ma votate, perché un popolo che non vota non esiste agli occhi dello Stato e delle istituzioni. Il voto è un dovere tanto quanto un diritto e, quando siamo chiamati alle urne, tirarsi indietro non vuol dire altro che fregarsene, e ve lo dico senza esitazione.

Un ultimo avvertimento: come sottolinea anche Pier Ferdinando Casini, evitate di fare l’errore che probabilmente faranno in molti, ossia votare sulla base della propria simpatia o antipatia per il governo Renzi. Ricordate, state votando una Costituzione e non un presidente, e se dovesse passare il , questo testo resterebbe per anni, forse decenni, dopo la fine del suo mandato. Certo, è una decisione di grande portata quella che stiamo per prendere, ma tutti gli italiani, nessuno escluso, devono farsi una propria idea con le informazioni e con i fatti, e non con le chiacchiere di politici e giornalisti vari (perché sì, è tutta retorica quella che sentite in TV), per poi andare a mettere quella crocetta sulla risposta che riterranno più giusta. E tu, cosa voterai?

GABRIELE GENNARINI

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