L’alternanza scuola-lavoro è vilipesa in ogni liceo che si rispetti. Se infatti questa può avere un senso nel momento in cui viene svolta da studenti, ad esempio, di un istituto tecnico, che trovano così quanto prima l’inserimento in un’azienda che possa impiegarli anche in futuro, essa appare avere poco senso se si impone forzatamente in un corso di studi di tipo liceale, soprattutto se per “esperienza lavorativa” si intende andare a perdere intere giornate a indicare la porta dei bagni in un museo. L’esperienza vissuta da 13 studenti del Liceo Manara, che hanno avuto la possibilità di trascorrere cinque giorni tra le mura della sede romana de La Repubblica, riporta attraverso le testimonianze di alcuni di loro come un progetto ASL possa essere “diverso” ma soprattutto piacevole e formativo
Alcuni luoghi, alcune persone restano impressi, inevitabilmente. Essere lì, dove quel giornale che compri tutte le mattine viene prodotto, e dove tutti quei nomi che da sempre vorresti conoscere svolgono il proprio lavoro, fa un certo effetto. Specialmente se non sei là in gita scolastica ma, per una settimana, ti metti nei panni di un vero giornalista de La Repubblica (detto da un ragazzo di quasi diciotto anni, anche solo fare qualcosa di simile è tanto, assicuro).
Impari l’arte del mestiere, le tecniche più originali, direttamente da chi le usa abitualmente e ne è padrone: dall’uso dei social per documentare in tempo reale le fasi di lavoro – grazie al prezioso supporto dei curatori del Social Desk – alle modalità di acquisizione delle fonti e delle informazioni. Esperienza unica, credo io, assistere alla riunione di redazione delle 11 coordinata dal vice-direttore, con i caporedattori di ciascuna sezione che discutono delle notizie da pubblicare il giorno dopo; vedi il giornalista di sport accanto a quello di esteri, quello di cinema e quello di economia: un campionario quanto mai eterogeneo di specialisti e di esperti del settore, che condividono con competenza una passione comune. Nostro obiettivo, a fine corso, la produzione di un numero di giornale di otto pagine, che contemperasse un’intervista a Tina Montinaro – moglie del caposcorta di Falcone, morto con lui a Capaci – corredata da articoli di approfondimento e curata con l’aiuto del giornalista e saggista Enrico Bellavia, un’inchiesta circa una tematica attuale e il paginone fotografico realizzato con il contributo della photo editor, Giulia Ticozzi. Può sembrar cosa da poco, ma anche la stesura delle domande per l’intervista e la loro rielaborazione tutto sono fuorché meccaniche: impari a dare una logica, a toccare le corde del tuo interlocutore e, al tempo stesso, quelle del pubblico, portando alla luce i segreti e gli spunti più interessanti. Analogamente, reperire, produrre e selezionare immagini richiede un lavoro di ricerca e di scrematura non indifferente, anche in vista della fase di impaginazione che necessita di spazi e criteri ben precisi.
ALESSANDRO DI SERAFINO
Di tutte le esperienze che esulano dalla classica didattica frontale e che ho avuto il piacere e l’onore di collezionare in questi cinque anni di liceo di sicuro lo stage presso La Repubblica è stato in assoluto la più formativa.
A contribuire alla sua utilità è stata innanzitutto la sua durata: non una semplice “toccata e fuga” di un giorno o due, ma cinque giorni intensi e pieni di attività, durante i quali nessuno dei partecipanti è stato un semplice spettatore: ognuno ha dovuto “sporcarsi le mani”, contribuendo in prima persona e a seconda delle proprie capacità alla redazione di un giornale in tutto e per tutto diverso dalla nostra umile (per quanto innegabilmente ben fatta) Lucciola. Un impegno che non si è esaurito attraverso la semplice stesura di qualche testo di una manciata di parole, ma che ha compreso anche il lavoro di impaginazione, reso invero piuttosto piacevole dall’efficienza dei mezzi fornitici, che (naturalmente) surclassano di gran lunga quelli a disposizione di uno studente.
Infine sono senz’altro da citare tutte quelle lezioni più “teoriche” riguardanti, ad esempio, il giornalismo online, che ben hanno corredato l’esperienza di elementi che potessero aiutarci a interpretare più correttamente da una parte il mestiere del giornalista e dall’altra, più in generale, il mondo che ci circonda.
DAVIDE RUBINETTI
La mia personale esperienza alla sede romana de La Repubblica, sita in via Cristoforo Colombo 90, è stata quanto meno sorprendente.
Certo, non che mi aspettassi un’esperienza più blanda e ripetitiva, ma nella mia Weltanschauung i progetti ASL, nonostante ve ne siano di molti validi, spesso sembrano marchiati dalla loro stessa etichetta esistenziale e possono risultare, in qualche modo, forzati e non sempre completamente coinvolgenti. Sicuramente la sentenza precedente non può e non vuole avere carattere gnomico, ma nel mio vissuto personale ho avuto varie esperienze poco stimolanti. E invece a La Repubblica è stato diverso. E non parlo solo dell’incredibile esperienza di poter partecipare alla riunione di redazione nazionale del mattino, con i vicedirettori, i caporedattori e tutte le altre sedi italiane connesse in videoconferenza, o della possibilità di intervistare Tina Montinaro, moglie del caposcorta di Falcone rimasto ucciso nella strage di Capaci.
Anche le curatrici del progetto, Anna Veneruso e Alessandra Giambartolomei sono state sempre molto disponibili e si sono impegnate per coinvolgere il gruppo il più possibile nelle varie attività proposte.
Ed alla fine il giornale di otto pagine, realizzato con il contributo di questi professionisti, è il mero oggetto fisico frutto di uno sforzo intellettuale di una settimana intera, quello di proiettarsi oltre l’orizzonte di “essere studente” e di fare qualcosa in più, di lavorare, di impegnarsi e di cooperare, per produrre qualcosa di costruttivo, di coinvolgente, che abbia, sì, un aspetto professionale ma sia anche la rappresentazione grafica di un primo, forse anche maldestro, approccio appassionato ad un giornalismo metodico ed autentico.
E poi dicono che con l’alternanza ti mandano solo a fare i panini da McDonald’s.
JACOPO SORU
Esperienza unica, nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro al Manara, e sicuramente una delle punte di diamante dei progetti formativi di quest’anno, è stata quella dello stage alla redazione de La Repubblica. In pochi abbiamo avuto l’opportunità di partecipare e da subito siamo stati consapevoli del grande privilegio che ci è stato offerto, con l’occasione di poter entrare nei luoghi attraverso cui le informazioni, provenienti da tutta Italia e da tutto il mondo, sono filtrate e organizzate fino ad arrivare a noi.
Abbiamo assistito ai processi di ricezione delle notizie, imparando ad analizzare in maniera critica gli elementi che ne garantiscono o meno la veridicità. Abbiamo tentato di entrare nelle dinamiche di lavoro, che prevedono un’analisi attenta di ciò che il giorno dopo potrà interessare ancora i lettori, e di come divulgare i contenuti, conciliando l’immediatezza dell’informazione online con la preservazione del cartaceo. Non capita di certo tutti i giorni di poter partecipare alla riunione di redazione con i caporedattori e i corrispondenti di ogni regione, avendo in anteprima un’idea di ciò che avremmo trovato il giorno dopo su uno dei giornali più letti d’Italia. Non capita spesso di poter incontrare professionisti di alto livello che si mettono a disposizione di studenti liceali, dedicando una parte del loro tempo, tra i ritmi frenetici e serrati di chi ha sempre delle scadenze da rispettare, per insegnarci i “trucchi del mestiere” o semplicemente per lasciarci osservare in silenzio e a bocca aperta la magia delle loro creazioni davanti a una tastiera.
Un’esperienza formativa a tutto tondo, non solo per chi, un domani, vorrà intraprendere la carriera giornalistica, ma anche per chi ogni giorno non vuole essere un fruitore passivo di notizie, ma una coscienza indipendente, in grado di indagare ciò che accade intorno a noi e di coglierne gli elementi meno evidenti, meno scontati. Ma soprattutto un’esperienza umana, che tra l’altro ci ha permesso di incontrare, intervistare e conoscere una donna come Tina Montinaro, moglie del caposcorta del giudice Falcone, morto a Capaci. Poter ascoltare le sue parole e venire a contatto con il suo coraggio e la grande forza che, nonostante tutto, traspare ancora chiara dai suoi occhi è stata per me la più grande fonte di ispirazione e la lezione di vita che porterò sempre dentro e sarò fiera di trasmettere.
CHIARA MIANO