Tra capolavori di originalità come “Lo chiamavano Jeeg Robot” e il sopravvalutato “Quo vado?”: il controverso futuro del cinema italiano
La sessantunesima edizione dei David di Donatello si è svolta lo scorso 18 Aprile. Sugli esiti della cerimonia, c’è ben poco da dire: eccezion fatta per i premi a “Lo chiamavano Jeeg Robot” (in particolare per il bravissimo Luca Marinelli), tutto il resto è stato un vero e proprio scempio. “Perfetti sconosciuti”, film piuttosto modesto e poco convincente, diretto da Paolo Genovese, la cui filmografia farebbe inorridire chiunque (come dimenticare “Immaturi” e “Immaturi – Il viaggio”, niente di dissimile dai nostri soliti cinepanettoni?), risulta sopravvalutato in maniera spaventosa. Ma ciò che più atterrisce è senza dubbio il fatto che “Non essere cattivo”, unico film veramente degno e significativo di questa edizione, non sia stato minimamente considerato.
Davvero, durante l’intera cerimonia, tra gli sketch dei The Jackal e i sorrisi di Cattelan, non si è trovato un minuto per ricordare la recente morte di Claudio Caligari, regista di uno dei film che ha avuto più nomination, se non uno dei più grandi registi contemporanei italiani, creatore di pellicole eccezionali come “Amore tossico”? Senza considerare la candidatura di “Quo vado?” al Premio giovani: ma stiamo scherzando?
Dove andrà, dopo i David, il Cinema italiano?
In primis è fondamentale distinguere tra l’industria cinematografica e il Cinema d’autore. Il nostro paese presenta profonde e gravi lacune per quanto riguarda la prima. Si necessita di prodotti d’intrattenimento, di cinema sì commerciale ma ben realizzato, che possa indurre il grande pubblico televisivo ad andare al cinema. Non si pretende certo uno sperimentalismo alla Grandrieux (magari!) ma neanche prodotti così bassi e ignobili come le nostre solite commedie che nulla offrono allo spettatore, se non ore di banalità e scurrilità.
Negli USA questo processo si è concretizzato in modo apprezzabile, si pensi solo all’ottimo “Mad Max: Fury Road” che ha invaso la sale del Paese ottenendo un ottimo risultato al botteghino. Si tratta di intrattenimento puro, adrenalinico e tecnicamente impeccabile. Anche qui, le tendenze e i risvolti narrativi del Cinema commerciale sono ben presenti ed evidenti, ma la pellicola, che ha come unica pretesa quella di coinvolgere lo spettatore, riesce perfettamente nel suo scopo.
L’Italia stessa, da questo punto di vista, dovrebbe conoscere un vero e proprio progresso. Come fare? La risposta sembra risiedere ne “Lo chiamavano Jeeg Robot”. È necessario innanzitutto puntualizzare che il Cinema italiano non ha bisogno di emulare i cinecomics americani con tema supereroi. Perché mai dovrebbe? Si tratta di Cinema povero, ormai invasivo e tremendamente ripetitivo, che ogni anno nuoce tremendamente alle sale del nostro Paese.
Il discorso è invece ben diverso per ciò che concerne il Cinema d’autore. Nonostante ci si ostini a ignorarlo e a non curarsene, esso è ancora vivo e portatore di vere e proprie meraviglie. Si pensi a “Bella e Perduta” (Pietro Marcello, 2015) e a “Le quattro volte” (Michelangelo Frammartino, 2010): i più grandi manifesti cinematografici del Cinema italiano contemporaneo, due autentiche opere che attraverso metafore e allegorie mostrano la situazione attuale del nostro paese. E, tuttavia, ai David di Donatello Marcello non è presente: al suo posto, Genovese e Nunziante! In questo caso il problema risiede nel fatto che né pubblico né produzioni sembrano essere interessati a queste pellicole che molto successo hanno ottenuto ai festival (in particolare a Locarno).
Questo ostinato atteggiamento è però poco intelligente e molto bigotto. Come è possibile ancora lamentarsi del Cinema italiano se non ci si cura di esso? Di sicuro le grandi produzioni sono totalmente deleterie, lasciando questi film a piccoli cinema sull’orlo della crisi (come l’Alcazar, che da poco è stato tristemente chiuso) e non volendo rischiare un insuccesso commerciale. Questo processo porterà inevitabilmente a danni irreparabili. Se oggi ci fosse un nuovo Michelangelo Antonioni, il più grande regista italiano della storia del Cinema, nessuno lo noterebbe ed egli resterebbe in bilico tra i vari festival europei, sconosciuto alla maggioranza del popolo non solo italiano, ma mondiale. Ed è bene notare che il Cinema italiano, senza Antonioni, oggi varrebbe la metà.
Il Cinema d’autore non può resistere all’infinito. La conseguenza è facilmente prevedibile: la scomparsa di un tipo di arte cinematografica più ricercata e sperimentale e la presenza di sale che presentino solo gli ultimi blockbuster. Già avviene, ma tra pochissimo il danno sarà ormai irrimediabile. Già adesso per vedere un film di Costa, Grandrieux, Weerasethakul, Bing o Diaz non è possibile ricorrere ai canali più tradizionali: le sale cinematografiche. Si finisce per scaricare queste pellicole illegalmente su internet, mediante siti molto poco affidabili e sicuri, rendendoci complici involontari del declino. Un circolo vizioso che, lasciato a se stesso, rischia di uccidere il Cinema e rendere tutti più poveri.
VIOLA DE BLASIO