Il volto inedito del commediografo ateniese, tra femminismo e impegno civile
Aristofane, uno dei massimi esponenti della commedia arcaica e, ahinoi, l’unico del quale ci siano pervenute alcune opere complete (undici, per l’esattezza), è universalmente noto per il suo modo singolare e innovativo di comporre commedie. Sebbene a scuola venga riconosciuta e studiata la sua genialità, spesso i suoi scritti vengono letti per poi essere lasciati fluire nei meandri più reconditi della nostra coscienza e in seguito dimenticati, poiché presi in considerazione esclusivamente nelle ore di greco, come oggetti di studio.
Tuttavia, leggendoli con più attenzione, il lettore può immediatamente comprendere i messaggi che Aristofane vuole trasmettere, immergendosi nella lettura e constatando come le sue opere siano degne di essere lette e rilette, in quanto pregne di attualità. L’autore infatti, a differenza dei successivi commediografi sia greci che latini, appartenenti alla categoria della commedia nuova, come ad esempio Menandro, non si dedica alla stesura di commedie per il mero scopo di “risum movere”, bensì lascia trapelare le proprie idee riguardo all’emancipazione femminile o riguardo alla guerra, oltre alle proprie opinioni personali, spesso quasi caricaturali, su alcuni personaggi che nella sua epoca si trovavano sulla bocca di tutti. Chi non ha mai paragonato un uomo vile, dopo aver letto una qualunque commedia di Aristofane, al Cleonimo che viene citato più volte in riferimento all’aneddoto dello scudo abbandonato?
L’abilità di Aristofane è rivelata dal fatto che egli non si limita a creare dei personaggi fissi – infatti le sue opere offrono una vasta gamma di personaggi che possono variare tra di loro per età, sesso e, ovviamente, per il carattere (come ad esempio vengono ideati da Plauto), né tantomeno sceglie di rappresentare unicamente la commedia dell’equivoco. All’interno delle sue opere si possono trovare situazioni e artifici retorici sempre diversi, necessari per far riflettere sulla condizione della πόλις che, a causa della guerra del Peloponneso (iniziata nel 431 a.C.), si stava dirigendo verso una decadenza che causava in Aristofane un grande dolore, in quanto egli amava molto la sua città. Essa è in moltissimi casi la musa ispiratrice e il tema principale delle sue commedie, che in alcuni scritti come “Gli uccelli” viene estrapolato dal suo contesto originario per essere reinserito in un altro ambito molto diverso, in questo caso addirittura surreale.
Per citare, al contrario, una tra le produzioni più realistiche, non si può non nominare “Le vespe” (422 a.C.). Le vespe – o calabroni, che dir si voglia – non sono altro che un gruppo di anziani che svolgono la funzione di giudici popolari, così soprannominati da Aristofane a causa del loro modo di comportarsi che “pungeva” e che, in altre parole, li portava in tribunale unicamente con lo scopo di giudicare colpevole ogni imputato. I protagonisti della commedia, come ne “Le nuvole”, sono un padre anziano e un figlio, solo che, al contrario del testo precedentemente citato, ne “Le vespe” è il giovane il personaggio più assennato. Il vecchio Filocleone, infatti, si trova chiuso in casa dal figlio, che vuole mettere fine alla sua passione maniacale per il tribunale.
A tentare di tirare fuori il vecchio, saranno proprio “le vespe”, ma grazie alla fermezza del giovane Bdelicleone infine desisteranno e l’anziano Filocleone si troverà comunque appagato, poiché il figlio gli procurerà un “imputato” da giudicare: un cane accusato d’aver rubato un pezzo di formaggio. La “vittoria” di Bdelicleone, tuttavia, non è casuale. In questo scritto, infatti, non solo vengono parodiati i giudici popolari, i quali, secondo Aristofane, credevano di essere di gran rilievo nella società, mentre in realtà altro non erano altro che strumenti del governo, ma viene anche screditata la figura di Cleone: infatti il personaggio più dissennato ha nome di Filocleone – ovvero colui che ama Cleone -, mentre il figlio avveduto, che alla fine riuscirà ad ingannare il padre, facendogli assolvere un “imputato” per la prima volta nella sua vita, viene chiamato Bdelicleone – ovvero colui che schifa Cleone.
Una delle opere migliori di Aristofane, o almeno, quella che concentra in sé gran parte del suo pensiero rivoluzionario e aperto è certamente “Lisistrata” (411 a.C.), in cui emergono i temi dell’emancipazione femminile e della pace. Lisistrata, ovvero “colei che scioglie gli eserciti”, infatti, prende in mano la situazione e, con lo scopo di far tornare definitivamente i mariti di tutte le donne greche dalla guerra (ovviamente Aristofane si riferisce ancora una volta alla guerra del Peloponneso), indice uno sciopero a dir poco anti convenzionale.
Ella, dopo aver radunato tutte le donne nell’acropoli di Atene, dichiara uno sciopero sessuale. Durante l’assemblea delle donne, mentre le ateniesi e le altre donne discutono animatamente per decidere se aderire o meno alla proposta di Lisistrata, emergono i punti di vista femminili soprattutto riguardo alla sessualità e ovviamente Aristofane non si lascia sfuggire l’occasione per mettere in bocca delle donne ateniesi battute più o meno spinte. In principio quasi nessuna delle donne vuole rinunciare all’amore del proprio marito (“Ma che fate? Vi voltate indietro? Dove andate? Storcete la bocca? Scuotete la testa? Cambiate colore? Piangete? Insomma, volete farlo sì o no? Perché esitate?” “Io no, che la guerra continui”), ma in seguito alle argomentazioni di Lisistrata, degne di un grande oratore, ella riesce a far approvare all’unanimità il suo sciopero.
Egli diventa quindi sostenitore di un femminismo ante litteram, che viene espresso dalla stessa Lisistrata la quale, rispondendo all’affermazione della spartana Lampitò circa l’importanza dell’astensione e, di conseguenza, la necessità di indipendenza dagli uomini della donna, esclama “Carissima, tu sola tra tutte sei una vera donna!”. Possiamo invece notare in autori come Plauto, commediografo latino successivo ad Aristofane di due secoli esatti, che le donne spesso si auto criticano, tanto è radicata in loro l’idea di essere inferiori agli uomini. In “Lisistrata” succede esattamente l’opposto. Ella, per mano dell’autore, fa valere i diritti delle donne e si diverte a prendersi gioco degli uomini e a schernirli, sottolineando la saggezza femminile. Che possa essere definita un’utopia futuristica, piuttosto che attualità?
FRANCESCA BURATTI