Mi versi del whisky mentre mi guardi in silenzio. Sono seduto su una poltrona in pelle, una delle tante cose che ci ha lasciato in eredità tua madre quando è morta. Ci ha lasciato solo mobili e casse di frutta sciroppata. Mi sono detto “meglio di niente”, e abbiamo accumulato tutto in questa stanza. Questa camera la chiami “stanza della memoria”. C’è accatastato di tutto, da vecchi quadri che facevi quando ancora eri giovane e bella, a collezioni di medagliette al merito di quando ero scout. È una stanza terribilmente patetica.
– Dobbiamo andarcene – dici, e ti muovi freneticamente nella stanza, il ticchettio dell’orologio scandisce i tuoi passi. – Andarcene da dove, Molly? – faccio un sorso e poggio il bicchiere sul tavolino in legno.
– Da qui Arthur! Da questa vita! Da questa città, dalle tue scommesse e dalla nostra fama! – E inizi a piangere. Quando cerchi di parlarmi, inizi sempre a piangere. Spesso penso che tu abbia una strana allergia alla mia compagnia. Ti guardo, sorrido, prendo il bicchiere e finisco il whisky in un sorso. – Cara ti ricordi il tempo del college? Le giornate passate a leggere quei libri lunghissimi? Te le ricordi? – E tu piangi ancora più forte come se t’avessi detto chissà quale cattiveria. – Come posso scordare, sono l’unica cosa che mi fa andare avanti, quelle giornate cristalline, quelle estati spensierate.- Sospiri e abbassi la testa.
– Bene! Sappi che non torneranno mai più e devi smetterla di vivere nell’illusione che tu possa risvegliarti adolescente perché non succederà mai! – Singhiozzando ti accendi una sigaretta. – Molly, non fumare dentro casa! – lancio il bicchiere contro il muro che rotea nell’aria e si spacca in mille pezzi. Urli. – Che cazzo ti urli, eh cara? Te l’avevo detto che non dovevi fumare! Quante volte te lo devo ripetere? Quante tempo impieghi a far entrare qualcosa in quel piccolo cervello rattrappito? Un mese, un anno? Dio, quanto sei stupida! – Piangi sempre più forte e io mi alzo in piedi, ti blocco il polso e ti butto la sigaretta dalla finestra violentemente. Mi guardi impaurita e rido. – Dovevi controllare la rabbia, ti ricordi? Sennò dobbiamo chiamare nuovamente qualcuno che ti aiuti e non vuoi tornare dai dottori, vero? –
– Io non ho bisogno di dottori! Non ho bisogno di nessuno, tantomeno di te, piccola testa di cazzo! – Prendo il tuo posacenere in vetro e lo lancio giù dalla finestra. – Oh Molly, che peccato, è caduto di sotto, quanto mi dispiace, vogliamo fare un funerale? Il funerale della tua patetica dipendenza! Della tua patetica vita! – Prendi la borsetta e cerchi di uscire dalla porta ma è bloccata, allora ti lancio la chiave e impreco di non vederti mai più. Esci di corsa. – Te ne pentirai – mi dici e scappi nella fretta. Inizio a prendere a calci la porta, poi il muro e poi ancora gli stupidi mobili di tua madre. Rivisto tra le foto e trovo un tuo sorriso di troppi anni fa. Cerco nella foga un accendino per bruciarla, terzo cassetto: le tue Marlboro e i tuoi fiammiferi. Inizio a dare fuoco a quelle inutili immagini. Ti rubo una sigaretta, l’accendo in solitudine e non so dove ciccare.
ALICE SAGRATI