La Lucciola

Notte d’Inverno

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Francia, Regione delle Ardenne

Anno di Grazia 1376, 17:41 P.M.

 

La luce del Signore aveva appena abbandonato le fredde terre e la notte, nera come il cuore di un demonio, si accingeva ad inghiottire ogni cosa.

La smorta luminescenza crepuscolare consentiva ancora di procedere con una vaga coscienza dei dintorni; gli artigli delle selve tesi verso il cielo simboleggiavano in qualche modo la sofferenza della natura martoriata dal gelo.

L’unico suono udibile era il sommesso ansimare delle giumente, inframmezzato dai cigolii del carro sul quale un uomo e suo figlio sedevano assorti.

Tornavano da una lunga giornata di mercato nel vicino villaggio di Avency, esausti e appesantiti da una mezza dozzina di sacchi di provviste.

Il piccolo, Claude, tremante negli abiti non abbastanza caldi, decise di avventurarsi su un terreno triste e nebuloso per la sua età:” Papà? Io… volevo…ecco…la mamma è con Dio?”

Il vecchio Etienne taceva e questo preoccupò suo figlio che credette di averlo indisposto. Claude non ardì proseguire e, massaggiandosi le esili spalle nel tentativo vano di riscaldarle, si raggomitolò sul sedile. Il mesto agglomerato di capanne dove dimoravano distava probabilmente un’altra ora.

Claude ripensò alle parole del prete la mattina precedente a messa. Aveva sempre avuto paura delle chiese. Una volta, ricordò, ne aveva visitata una molto grande in una delle città vicine, ma non ne rammentava il nome; l’unico frammento ben distinto di quella memoria era il nero sacerdote che urlava dal pulpito terribili invettive.

Etienne tossì e sputò: “Ricordi quello che ha detto il prete sui suicidi ieri? Bene, allora sai dove sta adesso quell’ingrata puttana di tua madre.” Sputò nuovamente.

A Claude, quella parola sibilata ferocemente dal padre, non diceva nulla. Capì però che non era un elogio. Checché se ne dica, l’ignoranza salvò molte creature da una sorte più miserevole di quella che li attendeva.

Il bambino appena undicenne stava rimuginando sulla predica udita in chiesa, quando penetrarono in un fitto bosco. Ricordò una sola parola, ripetuta più e più volte, di difficile comprensione, ma dal tono infausto.

Quello fu l’ultimo pensiero che il piccolo ebbe prima che il mondo vomitasse la propria follia nella tenebra delle foreste.

Inferno.

In lontananza scoppiò un violento gracchiare di corvi. Si levò il vento e il bosco tremò fin nelle radici.  Le cavalle nitrirono e inchiodarono mentre Etienne bestemmiava tentando di calmarle.

Cominciarono gli ululati. Gravi, tetri e pazzi ululati.

Tutto trasudava rovina.

Con un ultimo poderoso incitamento Etienne fece ripartire le cavalle al galoppo, ma dopo un breve tratto di sentiero percorso quasi alla cieca, le ruote cozzarono contro una radice e il carro rotolò su fianco.

Nel frattempo quei suoni simili a latrati si facevano sempre più vicini.

Claude, miracolosamente illeso, aiutò suo padre a rialzarsi; a questi infatti, durante lo schianto, si era aperta una profonda ferita sulla coscia. Suo figlio lo tirò su con moltissima fatica e insieme barcollarono nella direzione opposta agli ululati. Insieme ad essi un martellare serrato, come di molti cavalli, arrivò a pugnalare ulteriormente il cuore dei fuggitivi. Che gente poteva vagare nel cuore di una foresta a quell’ora?

Mentre la fuga proseguiva, il frastuono dietro di loro cresceva e comparivano nuovi agghiaccianti indizi su chi -o cosa- li stava braccando.Uno stordente clangore metallico si levò tutto intorno a Claude ed Etienne; nonostante la speranza di salvarsi fosse ormai lontana, continuarono a trascinarsi con la forza della disperazione. L’ennesima caduta di Etienne fu anche l’ultima, difatti aveva perso molto sangue e la testa cominciava a girargli. “Papà! No, alzati, arrivano! Ti prego papà alzati…” . Allora l’inverno aprì i suoi cancelli, un vento gelido li travolse, sferzando ogni cosa sul suo cammino, sul terreno e sui rami cominciò ad avanzare il ghiaccio. Come cosa vivente si muoveva e serpeggiava giù dai tronchi e sotto le radici, paralizzando tutto in una morsa letale. Il gelo si fermò a pochi metri dai due poveri ammassi di stracci terrorizzati, che poggiavano la schiena contro un frassino. Claude non osava muoversi. I cavalli li avevano raggiunti, tanto che fra un albero e l’altro, si scorgeva un numeroso drappello di uomini in avvicinamento.

Questo almeno credettero di vedere.

Una schiera in armi avanzava a passo di marcia, i vessilli catturati dal vento incessante.

Quando la testa della colonna fu vicina, due cuori rischiarono di fermarsi. Padre e figlio si segnarono ripetutamente.

Le leggende dimenticate e le voci appena sussurrate nelle corti e nelle taverne, non riuscivano a sfiorare la realtà dei fatti nemmeno nelle loro versioni più cupe. In queste storie di frontiera c’era l’eco di un esercito sacrilego, sputato dalle regioni più glaciali della Giudecca, in cerca di anime empie rimaste impunite sulla Terra. La Schiera dell’Abisso si ergeva dinanzi a loro.  La Schiera Furiosa cacciava un’anima quella notte.

La Corte di Sire Hellequin, la Masnada dei Dannati, la Caccia Selvaggia… fra tutti gli appellativi che il tempo aveva dato quell’incubo, la sua natura restava eguale in tutte le versioni: un’armata di cadaveri irrigiditi e demoni, capeggiati da un’entità dal potere ancestrale e oscuro.

Molte decine di occhi gelati e orbite vuote li osservavano in silenzio, mentre l’aria gelida sussurrava pensieri di morte. I destrieri, poco più che pallide carcasse, emettevano un lucore osseo. L’essere a capo della colonna portava una corona di un particolare metallo scuro. Costui smontò da cavallo e si avvicinò con rapidità inaspettata alle prede.

Claude aveva chiuso gli occhi da un po’, pregava anche se non sapeva bene come fare, né cosa chiedere di preciso. Tra un singhiozzo e l’altro riuscì a percepire l’aura glaciale emanata da quella cosa e tremò al pensiero che potesse toccarlo. Etienne aveva tenuto gli occhi fissi sulle creature per tutto il tempo, incapace di distogliere lo sguardo. I cani -o almeno le COSE di fianco ai cavalli che sembravano cani- tacevano, come se fino ad un attimo prima non avessero fiutato una preda.

D’un tratto, le dita di quell’essere gli afferrarono il mento ed Etienne gemette di dolore perché il gelo lo ustionò. Lo costrinse a guardarlo negli occhi, due fessure vuote…. in fondo alle quali tuttavia brillava un bagliore azzurro. Una luce lontana un migliaio di anni.

Il piccolo udì suo padre balbettare alcuni suoni senza senso, poi una frase chiara, ben distinta che ripeté più volte:” Nel fiume…. lei è finita lì… è affogata. No! No! Non è vero, lei è affogata, si è lanciata nel fiume e poi…”

Claude percepì un fruscio metallico. “No ti prego! Devi credermi…io ….lei….non  ero in me capisci?! No, fermo…cosa fai? Non…!”

Il bambino sussultò, un colpo secco gli tolse il respiro, nonostante piangesse a dirotto e volesse vedere suo padre non aveva coraggio di aprire gli occhi.

Un suono di uragano esplose in ogni dove, la foresta fu squassata da tuoni terrificanti e il cielo rovesciò grandine e pioggia. Quei rumori assordanti impedirono a Claude di capire cosa gli accadeva intorno, eppure facendosi forza cerco a tentoni suo padre, mentre la tempesta infuriava.

 

Quando il mattino seguente un drappello di uomini del signore di Avency trovò Claude in stato catatonico sulla strada per il villaggio, la bufera si era calmata da molte ore. Non riuscirono a fargli riferire gli accadimenti della notte precedente e visto il suo stato di tremenda confusione desistettero dalle domande. Incerti su come un bambino di quell’età avesse potuto sopravvivere in una foresta durante una tempesta come quella che si era abbattuta sulla regione, decisero di portarlo alla rocca per nutrirlo e attendere direttive. Certo è che il bambino non rivide più suo padre e che non seppe mai che la strada sulla quale si trovavano quando furono attaccati non portava alla loro casa, bensì conduceva nei pressi di un laghetto isolato.

 

ANDREA MASSIMI

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