La Lucciola

Il potere della Nona Arte

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Come il fumetto riesce a convogliare sentimenti e messaggi profondi e seri

Impeto, desiderio di rivalsa, solitudine, cinismo. La rivoluzione silenziosa prende voce: è il grido strozzato di emarginati, disadattati, di una generazione giovane e smarrita, che stenta a riflettersi in una società difficile e ottusa. A tutto ciò hanno saputo dar linfa le menti de “La Rabbia”, antologia di fumetti pubblicata da Einaudi Stile Libero e approdata in libreria il mese scorso: otto storie affidate al genio creativo e alla brillante incisività di autori quali Zerocalcare, Ratigher e Federico Primosig, per citarne solo alcuni.

Tra le pagine si percepisce un realismo, un’attualità disarmante, e ci si accorge che quei racconti di speranze disilluse, di disagio esistenziale profondo sono quantomai universali. Non è insofferenza fine a se stessa, è l’anima sociopatica e orgogliosa di chi, della comunità cui appartiene, non manda giù proprio nulla (o quasi).

Sullo sfondo del multiforme sostrato urbano di Roma e Milano, i personaggi si esprimono con un linguaggio nuovo, ben più eloquente di prolissi monologhi e seriosi dialoghi: è la lingua della matita, che tutto può. Così un’espressione grottescamente corrucciata, o una lapidaria battuta gergale parlano da sé. E valgono più di cento parole. Fare fumetti non è un mero esercizio di stile. E la lettura è veramente coinvolgente se, alla vicenda in primo piano, si unisce la curiosità per quel che c’è dietro.

Prossimo all’uscita è il nuovo graphic novel di Gipi. Si intitola “La terra dei figli” ed è la storia di un padre con due ragazzini, che abita in una vecchia baracca da pesca e vive dello stretto necessario. Trama piuttosto lineare, eppure, come ci svela lo stesso autore, alle spalle si dipana una società civile ormai scomparsa, in un futuro imprecisato che sembra più un ritorno alla ferinità primordiale: su questo scenario si innestano valori imperituri e questioni etiche rilevanti, e su tutto spicca il sempre attuale rapporto padre-figlio.

Ecco, un Gipi, o uno Zerocalcare, trascendono la narrazione tradizionale: il loro è un mondo problematico, di principi sempre messi in discussione, di certezze che non esistono. È la rivincita degli ultimi, degli sbandati, che lottano per farsi sentire. Una generazione forse non ancora perduta: puoi abbandonarla, o magari iniziare ad ascoltarne la voce. Forse è anche per questo che i loro fumetti hanno tanto appeal sui giovani. Zerocalcare, in fondo, è cresciuto a Rebibbia, tra musica punk e militanza nei centri sociali: un umile tra gli umili.

E pensare che, spesso, il graphic novel è un mezzo di denuncia sociale potentissimo, un vero pugno allo stomaco per chi legge: basti pensare a “Persepolis” di Marjane Satrapi, che ha come background l’Iran post-Rivoluzione islamica, sotto un regime opprimente e vessatorio. Altre volte, tocca argomenti scabrosi, come nel caso de “Il blu è un colore caldo” di Julie Maroh, imperniato sul tema dell’amore omosessuale. Sono romanzi a tutti gli effetti, carichi di verità ed esperienze di vita incredibili: un caleidoscopio affascinante di colori, umori e suoni che arriva al lettore senza bisogno di spiegazioni ulteriori.  Non sono semplici fumetti: c’è delicatezza, e insieme schiettezza dirompente, senza mai scadere nella polemica fine a se stessa. La matita disegna storie imprevedibili, incontri inaspettati, dà forma alla timidezza e alla rabbia, al razionale e all’irrazionale. A raccontare storie, se la gioca con tutti.

ALESSANDRO DI SERAFINO

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